venerdì 25 ottobre 2013



KISS ME BABY”. Insegna che si accavalla sulle due porte, ma negozio impari alla promessa. Negli stigli, capi di abbigliamento per bambini a festoni, infilati con spilli alle pareti, rivestite di ruvido tessuto di colore neutro. Il titolo, o le parole di una canzone che immagino ascoltammo da Jackson o …, viatico ad una mercanzia di innocente esibizionismo. L’inglese usurpato: su una lingua che aspira all’universalità o almeno alla globalizzazione, si abbatte il contrappasso di distorsioni caserecce, per le quali nessuno chiederà mai scusa. Trovarobato lessicale, familiare traffico di parole senza dazi, rubacchianenti e sfregi imputabili a una ignoranza che è impotenza non accettata, e dunque rimossa; violenze semantiche per le quali occorrerebbe reclamare, per giustizia o per opportunità, se non altro, e che diamine, il turista ne ride. Società emergenti, recenti, nella media periferia romana, nella cintura non, o non più, borgatara, calderone delle contraddizioni di un mutamento ancora un po’ febbrilmente in atto ma già incanalato in forme, nell grandi linee, ben distinguibili. La Magliana, una sera di settembre ancora tiepida. Vi si piomba per caso, attratti da una insegna di gelatiere color blu o dallo sfolgorare di luci apparse d’un tratto all’angolo di una arteria di scorrimento troppo buia, invece.

Strada di larghezza insolita, persino spropositata, dritta ma dunque tozza, tra i palazzoni. Nastro ininterrotto di negozi, riverberi di neon in ghirlande e pergolati vividissimi, sullo sfondo delle facciate; sotto, ambienti che si coagulano dietro un fulgore accecante, dove i colori più vistosi si smorzano l’uno nell’altro. Oltre l’alone, una barriera di macchine in sosta, parcheggiate fin sul marciapiede, riduce la carreggiata a percorso zigzagante tra un bugnato di cofani, spoiler, fari, ruote disassate, calandre e musi leporini in acciaio e plastica. Il festone dei negozi corre al piano terra dei palazzi, uno seguendo l’altro come i fotogrammi di una pellicola, per la lunghezza della strada. La gente entra ed esce, con naturalezza: comprare è abitudine collaudata, indizio principe di un primo benessere, ma irreversibile. Abbigliamento per bambini, rosticceria, pizzeria, gelateria, audiovideo, computer. Il caffè, il radioriparatore. E la TV. Poi ancora rosticceria, pizzeria, gelateria, tabacchi. Articoli sportivi.

Universo dello scambio a livelli elementari, in presa diretta sui bisogni o su una cultura del saziarsi: il mangiare, il bere, il succhiare, il dolce e il salato, il freddo e il caldo, la bocca, le mani, le labbra, le orecchie. Forse, il culo? Certo, da un po’ il sesso, e tutti i sensi si riempiono a festa, dopo secoli di esclusioni. E i bambini, giustificazione, fine inconscio (o esibito?) di un modello di vita sorprendentemente restaurato e vitale sulle macerie di lontane crisi e rivolte, storiche ormai e forse già illanguidite e dimenticate tra sospetti. La famiglia, con tutte le sue inquisitive tirannie, di nuovo trionfanti, beatamente, o inquiete. L’eccitazione quasi visionaria con cui si saluta l’acquisto dell’abitino del pupo, ancora “bello di mamma tua”; nulla di seriamente utilitaristico in questo negozio popolare, ma anzi profusione, grandezza, lusso, eccesso, scialo, spreco: ghingheri, fiocchetti, scarpine, calzettini, golfini, blusettine, cosettine. Più in là, nel negozio di articoli sportivi l’identico gonfiarsi di aggettivi straordinari si ripete, questa volta per i grandi, o i grandi-bambini: lo sport non è ritorno alla natura, ma l’esaltazione dell’artificiale.

Eccesso ancora nelle filze di polli che si arrovellano sul forno elettrico, nelle pile di pizza “rustica” rossa e bianca, al rosmarino o alle patate, al pomodoro, in varietà di sapori, di colori: una sovrabbondanza sontuosa o sontuosamente povera reminiscenza di una povertà che si rinnova e si impone anche in mezzo ai nuovi modelli di vita, e al nuovo benessere. E la salumeria coloratissima, piena di barattoli, di scatolette, di vasetti, di intingoli immersi in oli, in sughi, in pomodoro, salse esotiche, spezie scure. I colori stuzzicanti sostituiscono i sapori inscatolati, e gli odori, irraggiungibili. Anche i gelati, nel negozio subito a fianco, sostituiscono con i colori i sapori, indistinguibili o quasi nell’artificiale raggelamento della lingua e delle sue papille.



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