giovedì 10 aprile 2014


                                                         SPUNTI  DI  ATTUALITA'

Miracoli. Il "Fatto Quotidiano" solitamente fa professione di grintoso laicismo ma l'altr'ieri - solitario -  spara su due pagine una inaspettata inchiesta: prima la notizia poi tanto di commenti: "Si concluderà a metà aprile il seminario Studium organizzato a Città del Vaticano dalla Congregazione delle cause dei santi. Lo Studium, istituito da un'udienza pontificia del 1984, ha per obiettivo la formazione di postulatori e collaboratori del Dicastero, nonché delle figure di delegato episcopale e Notaio nei tribunali specifici che trattano le cause dei santi (...). Nelle 76 ore di lezione svolte presso la Pontificia Università Urbaniana si affrontano diversi temi che ai non adepti possono sembrare singolari: (...) i segni necessari e contingenti della santità, fama di martirio e teologia dei miracoli..." eccetera.  Ne viene fuori una vera e propria inchiesta sui miracoli, sul "miracolo", con due commenti di peso: il teologo Vito Mancuso e l'attore e premio Nobel Dario Fo. Mancuso è sofisticato: alla tesi per cui i miracoli sono "eventi prodigiosi che vengono dal divino" contrappone quella secondo la quale i miracoli "sorgono dal basso, dall'energia della mente umana, che non dominiamo del tutto e che la scienza non è in grado di spiegare". E ricorda che i miracoli non sono appannaggio esclusivo della fede cattolica: "nel santuario greco di Esculapio, il dio della medicina, sono stati ritrovati exvoto uguali a quelli di oggi. La stessa cosa avveniva in Egitto e oggi in India". Oddio, in proposito mi pare che la chiesa primitiva combattesse aspramente le insorgenze "miracolistiche" legate alla fede in dei e culti pagani: come può un idolo - "falso e bugiardo" - produrre salute e salvezza?

Ma, più in generale: vi è tutta una letteratura di stampo libertino-illuministico che tende a spiegare in termini naturalistici gli eventi o le situazioni proprie della religiosità. David Hume scrisse la "Storia naturale della religione" a metà del XVIII secolo. Obiettivo dell'opera è trovare i fondamenti della religione nella natura umana. La religione avrebbe la sua genesi nel sentimento del timore e quale esorcizzatrice della potenza naturale, che così risulta "benigna", non più  nemica dell'uomo. Un mezzo secolo dopo, Feuerbach sosterrà che di fronte al carattere illimitato dei propri desideri e delle proprie aspirazioni l'uomo si rende conto del carattere limitato dei suoi poteri. Dio viene immaginato come l'essere nel quale tutti questi desideri sono realizzati: a Dio, infatti, nulla è impossibile, tanto meno i miracoli. Ora, con Mancuso, siamo al miracolo come "prodigio dell'energia della mente  umana". Non innova di molto, il suo è solo positivismo aggiornato e sofisticato. Il noto teologo non sembra curarsi del fatto che i miracoli avvengono in aree culturali nelle quali, appunto, il miracolo viene accettato, mentre non avvengono in aree  - o con persone - culturalmente estranee al tema (penso alle aree pur cristiane ma protestanti). Il miracolo insomma, a mio modesto avviso, non "avviene", ma "viene percepito". Basta crederci. E Fo, Fo, che dice? Ho l'impressione che le due pagine siano state poste al servizio dell'attore, che a giorni riporterà in teatro una sua nota opera, “Lu santo Jullare Francesco”. Il quale, pare, ai miracoli non credeva.

Il "caso" Braibanti. E' morto, a  91 anni, Aldo Braibanti, alcuni giornali ne hanno dato notizia. Per molti lettori quel nome non ha alcun significato, invece la sua è una vicenda esemplare, per molti versi, nella storia italiana del secolo scorso: quasi uno spartiacque tra due epoche profondamente diverse. Prima di Braibanti c'è l'Italia contadina, dai riflessi arretrati, che ne condizionano vita e usanze fin nei più segreti recessi familiari. Con Braibanti appare e comincia ad emergere un'Italia che cerca di recepire alcuni elementi di modernità, di  laica autonomia nei comportamenti individuali e sociali (siamo, per capirci, ai tempi delle battaglie per il divirzio). Aldo Braibanti, filosofo, poeta, artista non privo di genialità, venne denunciato, processato e incarcerato per aver indotto un giovane ad abbandonare la cattolicissima famiglia e ad andare a vivere con lui. Erano omosessuali. Il reato contestato a Braibanti era quello di "plagio", residuo di un codice arcaico, risalente al 1930, che puniva "chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione". Ipotizzava, dunque, il reato di schiavitù, anche quella che si può avere quando si assoggetta impropriamente ai propri voleri una persona privandola della libertà, ma anche della volontà e, in definitiva, dell'identità. Naturalmente, nulla di questo interessava la vicenda di Braibanti e del suo amico, l'accusa era un pretesto, si voleva colpire un comportamento. Nell'occasione Marco Pannella affrontò per la prima volta, in un'aula di tribunale, il tema della giustizia italiana. Fu un bellissimo, appassionante confronto. E' lo stesso tema che porta ancora oggi Pannella ad insistere nella campagna sul carcere e la "giustizia giusta": una continuità di attenzione politica e culturale che la dice lunga sullo stato della giustizia e del diritto nel nostro paese.

















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