mercoledì 8 aprile 2015


RISORGIMENTO  LEOPARDIANO
di Angiolo Bandinelli
(da "Cronache del Garantista", 8 aprile 2015)

Leopardi è oggi di moda. Grazie ad un bel film, un pubblico non particolarmente interessato alla poesia se ne è avidamente incuriosito, facendo avviare anche una produzione editorial/mediatica  probabilmente di buon successo commerciale. Il mondo culturale alto avrà sicuramente apprezzato la recente traduzione integrale in inglese dello "Zibaldone", un lavoro di spessore critico e filologico costato sette anni di impegno ad una équipe di otto professionisti inglesi e americani e pubblicato da una casa editrice americana. Ai due poli dell'attenzione e dell'interesse, quello popolare e quello colto, Leopardi sta insomma conquistando un posto centrale nell'immaginario culturale e non solo. La posizione gli era sempre garantita dalla fama e dalla vulgata nazionale ma non era troppo solida nella pratica effettiva, neanche della critica che su di lui ha conosciuto alti e bassi, entusiasmi e misconoscimenti se non proprio, potremmo dire con Boine, "plausi e botte". Ha superato comunque il Manzoni, che sul Leopardi ebbe il vantaggio di essere tra gli autori la cui lettura era, nelle scuole,  obbligatoria,  mentre del Leopardi si avevano cognizioni scolastiche limitate ad alcuni dei “Canti” e a un paio di "Operette Morali".

Interesserà quindi, e già da alcuni è attesa con curiosità, la (ri)proposizione degli scritti di uno studioso cui la morte precoce impedì di svolgere più a fondo  originali quanto semisconosciute ricerche leopardiane. Citiamo a caso: "Heidegger, continuatore e rinnovatore nel campo della fenomenologia tedesca colla propria opera fondamentale, 'Sein und Zeit', nel breve saggio posteriore a quella, 'Was ist Metaphysik?', giunge alla conclusione della necessità di sovvertire la logica classica. Ma mentre per il Leopardi tale sovvertimento, che mette in rapporto con la profondità intrinseca dell'essere, è assoluto e totale, per lo Heidegger forse tale non è...". Credo sia la prima volta che il poeta recanatese viene analizzato  in parallelo con il filosofo tedesco, e proprio sul suo più accidentato terreno metafisico.  L'insospettato confronto venne fatto nel lontano 1932, nella tesi di laurea sostenuta con il filosofo e docente Giuseppe Rensi da un giovanissimo studioso, Giovanni Amelotti, la cui esistenza e la cui carriera furono troncate, nel 1936, da immatura morte. La tesi di laurea è del 1932, ma vide la luce postuma ("La filosofia del Leopardi", R.Fabris, 1937).

Lo storicismo idealistico crociano non ammetteva che potesse esservi una lettura del processo storico diversa, alternativa o comunque divergente, da quella sviluppata dalla grande filosofia tedesca dell'ottocento e, nel suo ambito, dal dittatoriale Hegel. Quello di Hegel non era un volgare ottimismo ma senz'altro il rifiuto di ogni forma di pessimismo, cosmico, psicologico o razionalista che fosse. Per l'idealismo nelle sue varie forme, più che all'individuo si pensa al  "soggetto"  costruttore di storia, comunque positiva. Col suo immenso "Zibaldone", Leopardi addirittura anticipava invece la corrente di cultura europea intrigata nel  pessimismo nichilista, da Schopenhauer a Nietzsche e derivati.  L'idealista Benedetto Croce stroncò il Leopardi pensatore. L'altro idealista, Giovanni Gentile, tentò il salvataggio della poetica del recanatese, ma a prezzo di una interpretazione che la volgeva verso un ottimismo assolutamente, nell'originale, inesistente. Va da sé che la maggior parte dell'esegesi anche della poesia leopardiana è stata influenzata (a partire dal pur grande suo ammiratore De Sanctis) dalla pesante diffidenza verso i temi negativi e oscuri propri del saggista/poeta.

Ma torniamo alla lettura parallela che di Leopardi ed Heidegger fa Amelotti: "Lo Heidegger muove, appunto in 'Was ist Metaphysik?', da una concezione della 'Angst', che è molto vicina a quella leopardiana della noia..."... “Nella Angst - noi tedeschi diciamo - 'es ist einem unheimlich': ci si sente profondamente a disagio...". E' il tema dell'angoscia  ('Angst'), a Heidegger carissimo. Per lui, l'angoscia  "è una sensazione indeterminata. Tutte le cose e noi stessi cadiamo in una sorta di indifferenza. Non è tuttavia un semplice dileguarsi: nell’atto stesso del loro sottrarsi, le cose si voltano verso di noi. Questo sottrarsi della concretezza ('des Seienden') nel suo intero, che ci avvolge nella Angst, ci opprime. Manca ogni sostegno. Resta solamente e ci afferra – nello scivolar via di sotto della concretezza – questa mancanza”. Per Amelotti,  la "noia" leopardiana - "un tedio così veemente, che si assomiglia a dolore e a spasimo...” - è assai affine alla  "Angst" heideggeriana, ma ancor più radicale di questa.

Amelotti sviluppò le sue ricerche leopardiane, oltre che nella tesi di laurea, nella raccolta di studi  "Il Leopardi maggiore", che vide la luce, anche essa postuma, nel 1937. I critici e gli studiosi di Leopardi che hanno potuto consultare le due opere ne hanno anche scritto con ammirazione. Saranno tra poco a disposizione di un più vasto pubblico grazie all'attenzione di una neonata intraprendente casa editrice romana, la "Emiliano degli Orfini" (vecchia e nobile testata genovese) e sicuramente entreranno nel canone della moderna e migliore saggistica leopardiana. Intanto, possiamo sfogliare una raffinata anticipazione delle opere di Amelotti, perché l'ambiziosa casa editrice ha già  fatto uscire uno smilzo elegante volume con le poesie, "Diario Umano", che il giovane pubblicò in vita (1934). La prefatrice (ed editrice), Michelle Muller, le giudica "espressione delle sue letture dei classici, delle contaminazioni dai suoi contemporanei (Ungaretti) e della suggestione di quelle scoperte letterarie che stavano vivificando il panorama poetico italiano ed europeo (un nome su tutti, Lautréamont)". Sono dunque composizioni giovanili, un po' immature.  Ma attendiamo con curiosità (e non solo) le opere dello studioso e critico leopardiano. Sarà un altro tassello della ricognizione di un pensiero che appartiene totalmente al grande filone europeo di rifiuto della dominante linea idealista, di cui rovescia tesi e conclusioni. Segnalarlo ci pare un dovere verso un recupero del Leopardi  più essenziale di un film, sia pure serio e ben fatto.




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