BENEDETTO CROCE? PIU’ MONTAIGNE CHE HEGEL
Da “L’Opinione”, 20
febbraio 2016
Il 25 febbraio è la ricorrenza dei centocinquanta anni dalla
nascita di Benedetto Croce. L’immagine del filosofo napoletano è ormai, specie tra le giovani generazioni, sfocata, per loro Croce
è un desparecido culturale. Non è il solo, del resto. L’epoca è frettolosa, qualcuno
definisce l’attuale una “società liquida”, viviamo nello spazio del twitter, di
un social o di un selfie che soddisfino il nostro narcisismo o – forse – ci
rassicurino che davvero ci siamo.
In controtendenza, Giuseppe Galasso è più ottimista,
sostiene che l’odierno eclisse del filosofo non è una “sepoltura”, un “epilogo”; trattasi
bensì, “come per ogni altro grande nome, del passare dalla tumultuosa contingenza
del tempo alla perenntà dei classici, alla perenne attualità delle voci che
(...) percepiscono ed esprimono qualcosa di sempreverde e imperituro circa
l’essenza e l’esperinza della storia, ossia del mondo e dell’uomo”. Lui stesso seconda il passaggio dalla cronaca alla
storicità, mettendoci a disposizione un ponderoso volume (oltre 500 pagine), edito
dal Mulino, nel quale raccoglie “molti dei numerosi saggi”, di diversa intonazione
e spessore, dedicati al filosofo di cui, se non discepolo, è sicuramente
attento studioso e cultore (Giuseppe Galasso: “La memoria, la vita, i valori”.
Itinerari crociani. A cura di Emma Giammattei. Società editrice Il Mulino, MMXV,
2015). Galasso aveva già fornito una “delineazione complessiva e unitaria” del
pensiero del filosofo nel suo “Croce e lo spirito del suo tempo” (“Il
Saggiatore”, 1990).
Impossibile tirarne qualche somma
nel poco spazio (e tempo) a disposizione, ma il libro sta bene in biblioteca, i
saggi appaiono utilissimi da scorrere e consultare, ben ripartiti come sono in ampie, omogenee sezioni:
“La storiografia e l’estetica”, “Etica e politica”, “Tra Napoli e l’Europa”, “Per
una biografia contestuale”... E subito il primo dei saggi mi offre uno spunto
di riflessione assai ghiotto: tratta, a sua volta, di un saggio del filosofo,
una di quelle scritture “secondarie”, di contenuto - almeno ad una prima
lettura – erudito, che intervallano, come parentesi svagate, le opere filosofiche o storiografiche di
maggior respiro. Su queste briciole si è appuntata sovente l’ironia dei critici
di Croce, pronti ad accusarlo di essere più che altro un erudito di storia locale, di
cose e vicende napoletane. Galasso ci racconta tutta un’altra storia. Croce scrisse
il “Saggio su Pulcinella” nell’agosto 1898 e l’amico Gentile, ricorda Galasso, “si
compiacque con lui perché mescolava questo argomento ‘agli studi gravi’”, un giudizio
condiviso da Antonio Labriola.
In realtà – osserva Galasso – di
poco grave nell’interesse di Croce per Pulcinella c’era...poco”. Nello stesso
periodo il filosofo stava raccogliendo e sistemando i suoi studi attorno alla Repubblica
napoletana del 1799, ma era anche intento a “definire la propria posizione”
sulle dottrine di Marx; e, contemporaneamente, curava l’edizione di scritti di
Francesco De Sanctis. Proprio quest’ultima impresa fu la matrice del suo
interesse per la maschera napoletana. Nel “diario della scuola” del grande
critico, Croce legge un articolo, scritto nel 1872, in cui, come tema di studio
degli allievi, De Sanctis aveva proposto il “carattere di Pulcinella”: lo
svolgimento datone da Giorgio Arcoleo era piaciuto al critico, che lo aveva
fatto pubblicare. Croce approfondisce la questione in pagine scrupolose, ma
anche geniali. Arriva a concludere che la celebre maschera era non un
“individuo artistico, ma una serie d’individui variamente determinati e
coloriti dai varii attori e scrittori comici che per più secoli si sono avvalsi
di quella figura”. Insomma - continua Galasso - Croce indagava non su un tema di erudizione
napoletana, ma su un problema “critico”, anzi “essenzialmente estetico”, che si veniva a trovare già “pienamente sulla
strada che Croce (..) si avviava a prendere e che lo avrebbe condotto, con l’ ’Estetica’,
alla fondazione del suo ‘sistema’ filosofico”. Il saggetto poco “grave” introduceva
e forse fondava temi squisitamente teorici,
come “la riduzione del tipologico, del genere letterario, delle
schematizzazioni figurative e psicologiche, delle generalizzazioni sociologiche
e antropologiche alla varietà storica effettiva e individuale dei casi
letterari, delle figure artistiche, delle rappresentazioni estetiche, delle
espressioni e dei personaggi più o meno riuscitamente poetici, da cui
generalizzazioni, schematizzazioni, tipologie, generi sono dedotti per un
lavoro, per Croce, doppiamente infecondo di unificazione e astrazione”. Di altri saggi crociani su temi “eruditi” si
potrebbe dire, penso, qualcosa di analogo, a segno della unitarietà del
pensiero, schiettamente filosofico o profondamente storiografico, su cui sempre
si muoveva Croce.
Vorrei portare, a riprova, una mia riflessione. Tra le opere
storico-erudite di Croce c’è un libro a me carissimo ma non molto considerato
dalla critica. Si tratta di “Vite di avventure, di fede e di passione”. Uscì
nel 1935, io ne posseggo l’edizione Adelphi del 1989, curata proprio da Galasso.
Sono sei biografie, rispettivamente dei medievali Filippo di Fiandra e Cola di
Monforte; dei rinascimentali Galeazzo Caracciolo, “Isabella di Morra e Diego
Sandoval de Castro” e Diego Duque de
Estrada; e infine del settecentesco Carlo Lauberg; quest’ultima è la vita “di un rivoluzionario”. Alle sei biografie Croce premise una
avvertenza: “Mi è accaduto, nel corso delle mie letture e indagini, di sentirmi
attirato dalle figure di alcuni uomini, le cui vite, ricche di vicende e di
contrasti, trabalzate e trapiantate dalla fortuna in paesi lontani e diversi,
impersonavano drammaticamente le condizioni e le lotte politiche e morali dei
tempi loro. Mi pareva che, a ben raccontarle, si potesse appagare
l'immaginazione, che si diletta dello straordinario e inaspettato, senza perciò
deludere le richieste della seria intelligenza storica”. E’ qui esplicitata una
avvertenza metodologica fondamentale. “L’immaginazione”, avverte il
filosofo, si “diletta” ed “appaga” dello
“straordinario e dell’inaspettato”: l’espressione sarebbe piaciuta a G.B. Marino,
per il quale “è dell’artista il fin la meraviglia”. Però, avverte subito il
filosofo, nell’appagare “l’immaginazione” si dovrà stare attenti a non
“deludere le richieste della seria intelligenza storica”. Prosegue, ribadendo
il suo rifiuto delle “deplorevolissime”, “cosidette biografie romanzate” e
fornendoci precise indicazioni sui criteri da lui seguiti nello stendere le
sue: “attenersi scupoloamete alla documentazione”, essere rigorosi nella
“ricostruzione biografica”, “riattaccare i casi degl’individui ai problemi
delle loro età; e tuttavia “appagare in certa misura la fantasia mercé la
particolarità dei fatti e la vivezza del racconto”. Ma non è, questo, esattamente
il problema che attanagliò il Manzoni quando intraprese la stesura del suo
“romanzo storico”?
Perché mi è sempre parso che questo lavoro, tenuto per
secondario se non per marginale, dovesse essere invece inteso come quasi un
culmine dell’opera crociana? Perché qui,
così come nel saggio su Pulcinella, Croce cerca di raggiungere e rappresentare un
ideale - tutto filosofico - di
“soggettività” umana concreta e storicamente impegnata, sfuggendo e rifiutando
esplicitamente da una parte l’astrattezza dell’”individuo” illuministico,
dall’altra la vuotezza delle categorizzazioni sociologiche o erudite e
classificatorie. In queste opere Croce
insegue nel concreto e tenta di “verificare” le sue stesse teorie estetiche ed
etiche: fondare, “creare”, far vivere il “soggetto” umano nella sua complessa,
concreta realtà è l’ideale segreto del suo pensero, dell’intera sua opera. E’
lo sviluppo e la maturazione di quella sua giovanile memoria su “La storia
ridotta sotto il concetto generale dell'arte” (1893). Ha inizio da qui una
fervida avventura da cui la cultura italiana uscì rinnovata. L’erudizione si
innalza a filologia, storiografia: filosofia “in nuce”.
Forse Croce ne ha paura, teme di esserne invischiato e
catturato, la mette alla prova in opere “minori”. Ma le sue “Vite” sono un
eccezionale capolavoro di “teoria” etico-estetica applicata: anzi, della sua
teoria filosofica complessiva. Grazie a scritti come questi, Croce dovrebbe
essere messo a confronto, più che con Hegel, con un moralista della statura di
Montaigne. Vi pare poco, in un’epoca - la nostra - di astrazioni,
generalizzazioni, classificazioni senza
corpo, né anima né etica? Almeno questo
ammestramento vale la pena di sottolinearlo, per i centocinquanta anni della
sua nascita.
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