L'Upupa
tecnologica
da "Il Foglio"
“Upupa,
ilare uccello calunniato...”. Montale riscatta l'alato
frequentatore dei nostri boschi dall'immagine appiccicatagli addosso
dal Foscolo, che definì l'upupa "immonda", con quel suo
"funereo singulto" rivolto alla luna. Prenderò l'upupa
montaliana a emblema di un Occidente del quale è bello sparlare, che
è ovvio e doveroso investire di ogni possibile critica, coprire di
ogni vergogna immaginabile, richiamare ad ogni sorta di pentimento e
di espiazione: proverò, ovviamente senza speranza di riuscirci, a
cancellare o almeno ad ammorbidire queste immagini, calunniosi
stereotipi che falsificano la realtà ed impediscono di assumere
atteggiamenti adeguati alle necessità, che pure incombono.
E
innanzitutto, esiste l'occidente? Io uso poco questa espressione. Ma
per secoli e secoli non si è avuto il minimo dubbio: l'occidente
c'è. Anzi, fino dentro alle ultime fiammate di esotismo
protonovecentesco l'occidente era la culla e sede di ogni virtù e
valore, mentre l'oriente veniva spacciato come sentina di barbarie,
di nequizie, di vizi (la lussuria era un suo peccato precipuo e
distintivo). La fede nell'occidente fu la molla ideale, o l'alibi,
del colonialismo: secondo Kipling, l'uomo dell'Occidente doveva
portare su di sé il fardello del suo destino, della sua missione:
colonizzare e civilizzare il mondo intero, anche con la forza e la
violenza. Poi il capovolgimento, l'Occidente viene messo
spietatamente (proditoriamente?) sotto accusa: intossicato da un
relativismo prono al dio della tecnica, diventa la terra dell'Occaso,
del tramonto, della perdita dell'essere e del senso stesso della
vita. E' una gara unanime: l'occidente ha smarrito se stesso, ha
perso le proprie più profonde stimmate, si sta suicidando!
Ma
davvero è così? Davvero l'occidente è avviato alla inarrestabile
decadenza? Le cifre, i fatti, ci dicono tutt'altro. Ci parlano,
certo, di difficoltà, di incertezze e inadeguatezze: però ci
segnalano, per esempio, che l'occidente (preso come un tutto, America
più Europa) ha ancora la leadership del patrimonio oggi più
importante per lo sviluppo, il capitale umano. Un quotidiano ha
recentemente rilevato che ormai la massa della produzione
manifatturiera si svolge in un oriente comunque convertito dalle sue
millenarie religioni al culto dell'efficienza industriale e
produttiva. Una città cinese, Shenzhen, da piccolo villaggio di
pescatori è divenuta una delle capitali dell'industria
manifatturiera mondiale. Migliaia di nuove fabbriche, intorno alle
quali lavorano più di quattrocentomila tecnici e operai, vi
assemblano iPhone e l'Ipad e cioè, sostiene il reporter, gli "esempi
iconici della globalizzazione". Quel che non è prodotto a
Shenzen esce poi dalle fabbriche di Singapore e Taiwan (o una
qualsiasi altra località dell'oriente più lontano). Quando arriva
al consumatore finale, l'iPhone o l'Ipad sarà stato toccato da una
sola mano americana, quella dell'addetto alle consegne delle Poste.
In America (e in parte anche in Europa) meno di un lavoratore su
dieci lavora da operaio: come annota il giornalista, "è molto
più probabile che un americano oggi lavori in un ristorante che in
una fabbrica". Da decenni l'industria manifatturiera americana
perde in media oltre 300.000 posti di lavoro all'anno. La
delocalizzazione della produzione è un trend globale, che capovolge
il sistema industriale mondiale.
Allora
è vero: l'occidente è destinato al declino. Al contrario. Quegli
iPhone e Ipad sono stati concepiti e progettati dagli ingegneri della
Apple a Cupertino, in California. Negli ultimi cinquanta anni "gli
Stati Uniti si sono reinventati, passando da una economia fondata
sulla produzione di beni materiali a una economia basata su
innovazione e conoscenza, cioè su un più ricco 'capitale umano'":
l'inventività capace di sfornare "nuove idee". E questo
capitale umano è divenuto "più prezioso" del capitale
fisico: "Il valore aggiunto generato a Shenzen dalla lavorazione
dell'iPhone è molto basso". "La Apple guadagna 321 dollari
per ogni iPhone venduto, cioè il 65% del totale": buona parte
di quei dollari finisce nelle tasche degli azionisti, ma una parte va
ai dipendenti di Cupertino. "L'ambito della innovazione -
insiste il giornalista - non è circoscrtitto all'alta tecnologia. Vi
rientra qualsiasi occupazione capace di creare nuove idee e nuovi
prodotti che non possono essere facilmente replicati". In futuro
"le città popolate da lavoratori interconnessi e creativi
diventeranno le nuove fabbriche". Visto il trend attuale,
saranno ancora per lo più localizzate in America ma comunque,
presumibilmente, in occidente. Questo occidente non è dunque in
crisi. Schumpeter ci ricorda che il capitalismo è "distruzione
creatrice". In un'epoca di innovazioni globali molto si è
dovuto e si dovrà distruggere. L'occidente paga per questo (paga
assai di più per un accresciuto deficit di democrazia, e su questo
dovrò tornare) ma per crescere e svilupparsi non dovrà affidarsi
alle geremiadi e alle condanne, poco o punto laiche, degli
hedeggeriani europei (soprattutto tedeschi). L'upupa europea si
salverà, semmai, se si adeguerà al pragmatico relativismo
tecnologico dell'America.
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