venerdì 6 settembre 2013

APPUNTI SU PAPA FRANCESCO

da "Il Foglio", giovedì 5 settembre 2013

Papa Francesco che - ci dicono le sue recenti iniziative sulla Siria -  in tema di politica “estera” si muove da attento decisionista, ha nominato il successore del cardinale Tarcisio Bertone alla carica di Segretario di Stato. La scelta è caduta su monsignor Pietro Parolin, nunzio in Venezuela e, dal 2002 al 2009, sottosegretario agli Affari esteri della Santa Sede. Subito si è notato che Parolin non è cardinale, non appartiene cioè alla casta dei potenti che sembra abbia grosse responsabilità negli ultimi negativi eventi accaduti in Vaticano; inoltre, a differenza dell'outsider Bertone, è fedele allievo di una collaudata scuola diplomatica da cui sono uscite personalità di gran spicco come i cardinali Casaroli, Silvestrini, Sodano, Tauran. Siamo ancora nell'ambito delle interepretazioni tipiche di questo pontificato, tutto all'insegna della "normalità", dell'umiltà, dello spirito di servizio e della competenza. C'è però chi si spinge oltre: Francesco Mele, uno psicoterapeuta successore di Jorge Maria Bergoglio al Collegio Universitario del Salvador di Buenos Aires, sostiene che papa Francesco "rappresenta la voce dell'America latina" e nutre lo stesso progetto che fu di Simon Bolivar, Jose G. Artigas, José San Martin "e di tanti altri patrioti latinoamericani", vale a dire "l'unità dell'America del Sud, come contrappeso agli Stati Uniti". In questo quadro di riferimenti mi pare ipotizzabile pensare che papa Francesco intenda attivamente porre, a baricentro dell'interesse della Chiesa, l'America Latina, l'esplosiva area dove è nata la Teologia della Liberazione e dove i confini con le chiese evangeliche sono pericolosamente fluidi e richiedono presenza ed energia. Ai papi italiani sono succeduti due papi europei, ora tocca ad un non-europeo. Con tutto ciò che questo suggerisce: è possibile che l'Italia non rappresenti più la roccaforte su cui la Chiesa debba puntellarsi ad ogni costo per la riconquista del mondo, e che l'Europa non debba più essere la sorgente intellettuale da cui attingere per l'interpretazione della storia e dei destini dell'uomo.

In questi stessi giorni mi è venuto fatto di pensare, con nostalgia, alla rivista "Civiltà delle macchine", di cui ho adocchiato alcune copie su una bancarella dell'usato. Perché la  nostalgia? Perché quella rivista era elegante e, come nel titolo, davvero civile. La dirigeva Leonardo Sinisgalli, poeta mite, ma anche ingegnere. Siamo nel clima della ricerca di rapporti tra la cultura umanistica e le scienze, le macchine. Ma in quella rivista non ricordo si potesse cogliere alcunché della ferocia polemica, intrisa di oscure frustrazioni e invidie, di tanta filosofia contemporanea (non moderna, solo contemporanea), nei confronti delle tecniche e delle tecnologie. Con i suoi Heidegger, Severino, ecc, questa filosofia ci ha a lungo soffocati nelle spire del più cupo pessimismo, del catastrofismo, di cui ci siamo fatti quasi una religione (ahi!, Ratzinger!), comunque una ragione di lotta contro i prodotti di un ingegno umano che, dalle ineguagliate invenzioni della ruota, dell'arco e delle leve, con la tecnica e sulla tecnica ha via via elevato modi e modelli di vita e di organizzazione sociale dell'uomo: fin dalle sue origini, da quando cioè, dicono gli antropologi, riuscì a stringere - così differenziandosi dagli altri primati -  le dita della mano attorno ad un selce o ad un pesante ramo per aver ragione di fiere assai di lui più forti. Nella rivista di Sinisgalli c'era ancora, mi pare di ricordare, la grazia umanistica del  Leonardo  da cui prendeva il nome, creatore di macchine più prodigiose che utili e utilizzabili, tutto un intreccio di invenzione e fantasia. Si può dire che questa cultura è intrisa di spirito laico, almeno quanto ha in odio tutto ciò che è laico l'antitecnicismo idolatra dei tanti Heidegger in circolazione e dei loro seguaci? A questi nomi oggi arrivo ad aggiungere quello di Ernest Jünger, il grande scrittore tedesco, giusto per ricordarci di quali terrificanti deliri fu capace quella cultura nel suo sforzo di manomissione integrale (e integralista) della storia. Jünger arrivò a concepire un "nuovo" Tipo umano, un superindividuo che, tramite l'utilizzo eroico della tecnica, è al totale servizio di un destino di dominio della Forma. Come tutti questi idolatri o demonizzatori della tecnica, anche in lui non c'è una sola parola sulla democrazia laica e il suo senso. Per fortuna, degli Jünger come degli Heidegger e compagni - il peggio, assieme al giacobinismo, dell'ideologia europea novecentesca - ci siamo liberati, o ci stiamo liberando. Magari grazie a questo gesuita sudamericano (sottilmente, Mele ricorda come "al tempo dei conquistadores furono i gesuiti a sostenere che anche gli indigeni avevano un'anima") che sembra rinunciare all'idea di un imperialismo clericale fondato sull'imposizione dell'Assoluto. Non sarà mai, questo è scontato, un relativista, ma è pur sempre un gesuita.

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