L’ETA’ DEL TERRORE. UNA RISPOSTA RADICALE.
(da “L’Opinione” telematica, 24
novembre 2015)
“Allons enfants de la Patrie, le jour de gloire est
arrivé...”. Non poteva toccare che alla Francia l’onere – ma anche l’onore – di
porsi alla testa della Guerra contro il Terrore. La Francia, un paese depresso
e inquieto, che dichiara di voler onorare senza sconti le sue tradizioni illuminate ma anche va
orgogliosa di fare alzare in volo i suoi “Rafales” per contendere il dominio dei cieli ai “Lockheed” americani e
ai “Suchoj” sovietici, può oggi assumere
il ruolo che più ama, competere alla
pari con U.S.A. e Russia.
Il Bataclan replica le Torri Gemelle,
nell’orrore ma anche nelle conseguenze. Il massacro dei due grattacieli americani ha
fatto scoprire appieno l’Età del Terrore,
quello del Bataclan ne rinfocola l’immaginario. E l’Età del Terrore è ormai, e resterà
a lungo, il nostro tempo psicologico,
quello su cui misureremo, ad ogni momento della giornata, noi stessi e il contesto
che ci circonda e in cui siamo immersi. Tutto, in questo contesto, sarà da ora
in poi soggetto allo stress del terrore. Purtroppo, come è noto, le reazioni a questo stress sono per lo più scomposte, irrazionali,
ciecamente volontaristiche e decisioniste. Quando venne gettata, dall’attentato alle torri, nella seconda guerra del Golfo, L’America patì gli errori e la mendace pervicacia che
portarono Bush e Blair ad aprire un conflitto che non poteva essere vinto e le
cui conseguenze negative sono ancora sotto ai nostri occhi e probabilmente vanno annoverate come causa non secondaria
delle attuali crisi. Mai l’Occidente aveva dato una così bassa immagine di sé: dalle bugie sostenute all’ONU dal Segretario
di Stato Colin Powell circa le armi chimiche
di Saddam fino all’osceno processo e alla messa a morte del despota di Baghdad, reo soprattutto
di essere detentore di segreti, o di verità, che non dovevano essere rese
pubbliche. Dopo di allora, l’America non
è più stata la stessa, si è avvolta in una
spirale di crisi da cui non è ancora riemersa abbastanza da poter riprendere il
suo storico ruolo di guida morale, economica e politica dei paesi democratici. Per conseguenza, assistiamo oggi ad una nuova inedita corsa al
primato nella leadership mondiale: se l’America non ce la fa più, la Russia di
Putin è ben più che una comparsa, la Cina ha sostituito un Giappone pago dei suoi “ninja” ipertecnologici, la Germania resta un nano politico, l’Europa
latita. Ecco allora la Francia dare un colpo di coda, e arrampicarsi di nuovo
su palcoscenico della Storia. Mica dice “noi, l’Europa”, dice “io, Francia”.
Per la verità, è dall’epoca di De Gaulle e del rifiuto della Comunità Europea
di Difesa (1955) che lo dice; però non si perita di chiedere l’aiuto militare ai - riluttanti - paesi
europei.
Oggi come ai tempi di Bush e Blair, l’Età del Terrore sarà
tutt’altro che inclusiva. Imporrà un distacco incolmabile tra noi e l’altro, il
nostro prossimo. Il vicino del pianerottolo già può apparirci come un subdolo nemico. L’illuminismo
era, almeno nelle intenzioni, inclusivo, anche se la Ragione non sempre seppe
contenere gli effetti torbidi del suo
estremismo e conobbe l’arte della discriminazione ostile. Ma le sue
migliori predicazioni vengono pretestuosamente
accantonate. Solo per leggi di “emergenza”, si dirà, destinate ad una vita
breve, a data di scadenza fissa. Ma,
come ha ricordato sul “Corsera” Sergio Romano, “dopo gli attacchi alle Torri Gemelle
dell’11 settembre 2001, il ‘Patriot Act’ emanato da Bush conteneva misure
repressive e inquisitive che l’apparato poliziesco degli Stati Uniti richiedeva da tempo, e fu l’occasione per la
più brusca svolta illiberale del sistema americano dai primi anni della Guerra
Fredda”: come non ricordare Guantanamo? Dopo Bataclan, Hollande ha chiesto
leggi eccezionali di sicurezza. Va bene,
non nuove e solo per tre mesi: come si
dice, la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni ...
Renzi si è rifiutato di emanare analoghe “leggi speciali”, e
di fomentare “l’isteria”, un’isteria –
alla Houellebecq o alla Oriana Fallaci, diciamo - pronta ad accendersi, se è vero che, come riporta il “Corsera”, “a Pisa, un detenuto musulmano ha indossato
una maglietta con scritto ‘Parigi’, destando qualche sospetto”... Speriamo bene. Perché Sergio Romano ci avverte che l’ISIS “può
continuare a reclutare solo se riesce ad infiammare l’immaginazione dei suoi
giovani ‘martiri’, e la sua mostrusa sfida “suscita ammirazione in molti
giovani che vanno alla ricerca di una causa in cui affogare la rabbia e le
frustrazioni accumulate nei ghetti delle
banlieue di Parigi”. Lo vediamo in questi giorni con i focolai di morte che si
accendono da Bruxelles a Bamako: l’ISIS,
col suo fondamentalismo, è in primo luogo uno stato d’animo, una reazione, follia. Nasce
e rinasce ovunque, basta che trovi un brodo di cultura. Chiudere le frontiere,
accentuare controlli, innalzare muraglie
attorno alla “Fortezza Schengen”, ecc., faranno ancor più lievitare quelle rabbie
giovanili.
Alle iniziative militari, all’opportunismo delle strane
alleanze, occorre al più presto sovrapporre (e imporre) una strategia più lungimirante. E, per quel
che ne sappiamo, non c’è migliore stategia - per
dare agli animi esacerbati un punto di
riferimento certo, un briciolo di sicurezza non passeggera e di speranze concrete - che il rafforzare
le garanzie del diritto, della legge: non solo “eguale per tutti”, ma anche capace
di prevedere e soddisfare i bisogni profondi, e nuovi,
dell’umanità di domani, l’umanità globalizzata, l’umanità 2.0. Orizzonti nuovi si aprono all’umanità di domani, ma sono
orizzonti incerti, senza principi stabilizzati, senza norme. Questa umanità,
una umanità tutta di “migranti”, di individui, di soggetti che mutano, evolvono, si staccano dalle loro
radici per proiettarsi avanti, per plasmarsi e riplasmarsi, per adeguarsi al nuovo
prima che questo divenga uno “ieri”, sarà molto diversa da quella di oggi. Oggi, le
ragioni dell’individuo, del soggetto, vengono spesso ignorate o conculcate dalle ragioni del diritto positivo, un diritto
che ha come orizzonte gli Stati nazionali
e l’etica che da essi si è, nei secoli, generata. Ma già oggi l’individuo vuole sentirsi libero di essere un “cittadino del mondo”,
vuole andare a cercare la propria felicità dovunque essa si presenti. L’individuo di oggi è sempre,
consapevolmente o no, un “migrante”. Anche quando sedentario.
Molti, di fronte a
queste drammatiche incertezze proclamano
la fine della civiltà, dell’Occidente, e propongono il richiamo religioso. A
noi pare che occorra piuttosto cercare di lavorare, laicamente, alla fondazione
di un diritto adeguato ai nuovi tempi. E’ quanto cercano di fare i radicali del
Partito Radicale, con la loro iniziativa di investire l’ONU della responsabilità
di affermare un nuovo diritto umano alla conoscenza, e di promuovere una
transizione alla democrazia che coinvolga assieme i paesi dell’Occidente e il
mondo arabo. Ha scritto Rita Bernardini,
già segretaria nazionale di Radicali Italiani: “Noi dobbiamoi sostenere all'Onu
- con un nostro diretto, forte impegno e adeguate lotte - la battaglia già
incardinata per la transizione verso lo Stato di Diritto attraverso
l'affermazione del diritto umano alla conoscenza, contro la Ragion di
Stato. Ed è all'Italia (che vogliamo
divenga finalmente consapevole di sé, dei suoi limiti e delle ferite da decenni
inferte alla democrazia e ai diritti umani) che noi intendiamo affidare la
leadership della campagna alle Nazioni Unite, cosicché la sua candidatura - già avanzata - a membro del Consiglio di
Sicurezza non sia la scontata occupazione di un posto di potere, ma abbia il
respiro di una strategia politica per il futuro”...” Ciò che non mi ha fatto
scoraggiare fino a mollare è stato vivere giorno dopo giorno con Marco
Pannella, il quale continua a testimoniare con la sua forza morale ed
intellettuale ciò di cui è intimamente convinto e che ci ha portato in passato
ad ottenere, proprio all’ONU, la moratoria delle esecuzioni capitali e
l’istituzione del Tribunale Penale Internazionale. ..”
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