Dopo il
lepenismo: una Europa tra nazionalismi e localismi.
(da "Notizie Radicali" del 14/11/2015)
I risultati del ballottaggio hanno piegato le aspirazioni di
Marine Le Pen, ma non cambiano i termini del “caso” francese. Per il momento Hollande l’ha scampata, ma anche lui va incasellato tra gli
sconfitti. Il resto del panorama politico d’oltralpe, poi, ci dà sempre
l’immagine di un disastro nazionale (e,
ahimè, europeo). L’assalto del lepenismo
alle istituzioni e al governo è stato
respinto, ma non si dica che ha vinto la democrazia. Marine Le Pen non ha tutti i torti nel
sostenere che in Francia destra e sinistra sono morte. Il tradizionale gioco
tra destra e sinistra è scomparso, i passeggeri della nave Francia si sono
buttati tutti sulla fiancata opposta a quella dove si era provocata la falla,
giusto per impedire alla nave di affondare: ma la falla sta ancora lì. Detta un po’
brutalmente, in Francia oggi si vince o si perde a seconda dell’emozione
momentanea, nello scontro tra due paure. Se mai gli sarà possibile riprendere
in mano le carte, il gioco del confronto democratico va rifondato ex novo.
Marine Le Pen aveva
recentemente strappato il partito dalle mani del fondatore, il padre, ma il lepenismo rappresenta nell’oggi una ideologia di assai lunga durata e che ha un
nome - per l’appunto - francese: “chauvinisme”, sciovinismo. Cova da sempre sotto le ceneri della Francia profonda, ben oltre le odierne
paure per l’invasione degli immigrati:
per capirlo, basterebbe ricordare
il referendum che seppellì
il Trattato per la Costituzione Europea sotto il
“no” dei francesi (29 maggio 2005) e trascinò con sé, due giorni dopo, il “no” dei Paesi Bassi. Allora, giocò la sua
parte nel determinare il voto la paura dell”idraulico” polacco che, con la
vittoria del sì alla “direttiva Bolkenstein” , avrebbe invaso la Francia e rubato il lavoro
ai francesi. Volendo, si potrebbe poi risalire
al “no” al Trattato istitutivo della
Comunità Europea di Difesa (CED) espresso dall’Assemblea Nazionale francese,
con l’escamotage di un espediente
procedurale, il 30 agosto 2004. Tra le
cause della mancata approvazione di quel
rivoluzionario trattato c’era
la morte di Stalin che attenuò le tensioni con l’Unione Sovietica, il cattivo andamento della guerra in Indocina
ma soprattutto il rifiuto dei nazionalisti - forse già lepenisti - di accettare
il riarmo tedesco, sia pure sotto la bandiera stellata dell’Europa. E alla fine - perché no? - si potrebbe riesumare
con profitto il fantasma della Francia “pétainiste” di Vichy, un episodio non
del tutto casuale, le cui radici forse non sono state completamente rescisse.
Oggi, le ragioni del quasi successo lepenista (il 42° dei voti ha comunque il suo peso negli
equilibri politici dell’oggi e del domani) vengono colte nella reazione popolare –
dettata da una comprensibile insicurezza psicologica - alla strage jihadista al Bataclan. Certo, quel
massacro è stato un episodio di terrorismo gravissimo e
dolorosissimo, e può essere assunto a causa
immediata e scatenante dello sconquasso elettorale; ma forse non riesce a spiegare del tutto l’avanzata nazionalista. Ripetiamolo: il lepenismo
rappresenta un tassello essenziale
dell’identità profonda della Francia, basta che si apra un varco e la più
scapigliata Marianna si riprende la
scena. Eppure, il paese dovrebbe essere mitridatizzato contro certi riflussi della sua storia: nelle
banlieues parigine vi sono interi quartieri (perfino la zona attorno alla
cattedrale di Saint Denis, culla del gotico, dove sono sepolti alcuni Re di
Francia) tra i cui abitanti è difficile scorgere un volto bianco. La Francia ha
un antico retaggio di accoglienza per le genti di colore, dovuto al fatto di
aver avuto colonie dalle quali sono approdati
immigrati d’ogni genere e condizione. In
questo, la Francia è simile all’Inghilterra, anche se i due paesi hanno assunto
un diverso approccio al tema dell’integrazione. Ecome in Inghilterra, anche in Francia l’integrazione non è riuscita perfettamente,
per ragioni sociali più che per motivazioni etniche. Si sparga su
questa ferita sempre aperta il
sale del terrorismo, e la tragedia è sicura.
Le conseguenze europee del doppio voto francese saranno gravi. Dopo il primo turno, Salvini ha
esultato, ha scambiato con la Le Pen felicitazioni e auguri. Ma - non c’è
neppure bisogno di dimostrarlo - tra il lepenismo e la Lega non ci sono punti
di contatto seri e autentici, si tratta
di fenomeni sociopolitici diversissimi:
non sono però i soli, in Europa c’è un
formicolare di rivendicazioni, dalla Spagna all’Inghilterra (e altrove) che è sbagliato accorpare tutte assieme sotto
l’etichetta di “populismo”, ma è giusto qualificare tutte assieme come
“localiste” e antieuropee. Con varie
gradazioni, marciano assieme nell’odio
per le istituzioni di Bruxelles e Strasburgo:
si va dalla semplice diffidenza nei confronti
di quelle burocrazie e delle loro farraginose politiche fino alle orgogliose rivendicazioni delle “piccole
patrie” in rivolta contro le grandi
“nazioni” istituzionalizzatesi nel corso
dei secoli a formare gli Stati nazionali che conosciamo. Il voto francese
accentuerà comunque le tante derive isolazioniste. Schengen è formalmente salvo,
di fatto le frontiere tra i paesi
europei diventano sempre più muraglie disagevoli da superare.
Il localismo non ha solo il volto inferocito dei piccoli
nazionalismi provinciali, nostalgici o rétro. Si può presentare anche con un
volto rassicurante, apparentemente inoffensivo, perfino suadente. Questo localismo pretende - garantisce - di essere europeista e sinanche federalista. I suoi sostenitori teorizzano un federalismo che nasca “dal
basso”, dalle istituzioni locali, le città o i vari distretti amministrativi - si chiamino province o
regioni - secondo il principio di sussidiarietà. E’ una visione che si ispira più al modello
dei cantoni svizzeri che a quello americano, sbocciato sull’humus della grande cultura illuministica settecentesca:
secondo quanti lo professano, un federalismo realizzato nel piccolo delle comunità locali favorisce o
addirittura produce - allargandosi,
diciamo così, a macchia d’olio - un federalismo istituzionale di livello sovranazionale
e intereuropeo. Il movimento federalista europeo ha già
conosciuto, decenni fa, questa deriva,
specie presso i francesi. Combattuto da Spinelli e i suoi, si è dimostrato
presto, sul piano teorico non meno che nella prassi, inconcludente e
distraente. Oggi lo sentiamo insinuarsi, invitante, anche in case
insospettabili, per esempio tra i radicali italiani: facciamo il federalismo a
partire dalle nostre città, e questo fiorirà anche, rigoglioso, nelle Istituzioni di Strasburgo e Bruxelles. E’ su questa base che si preme per la
partecipazione alla prossima tornata amministrativa. Si tratta di fantasie, o forse solamente di un alibi.
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