giovedì 11 agosto 2016





HEIDEGGER: L’ANTISEMITISMO E  E LA POLITICA
(da "Il Foglio", 12/08/2016)




E se qualcuno cercasse di persuaderci  che Martin Heidegger, forse l’ultimo filosofo dell’Essere, è pensatore fortemente politico? Inarcherebbero le sopracciglia i suoi ammiratori: “Ecco che ritorna fuori quella storia dell’antisemitismo”. Beh, è vero: la questione dell’antisemitismo di  Martin Heidegger è scottante e controversa. Che il filosofo  considerato tra i massimi se non il massimo  del novecento possa essersi  macchiato di una colpa così infamante appare impensabile, inaccettabile. Fino ad oggi le prove  sembravano schiaccianti, specie dopo la pubblicazione dei primi “Quaderni  neri”, taccuini nei quali  il pensatore tedesco  annotava  le idee man mano che gli si presentavano, senza altro ordine che quello puramente cronologico. I “Quaderni  neri” offrono  testimonianze ritenute  inconfutabili. Oltre a un repertorio di espressioni  ricalcate sulla più volgare iconografia dell’Ebreo avido e“calcolatore” vi  appaiono espressioni  più  pesanti che fanno dell’Ebreo un personaggio metafisico, partecipe, ma in negativo, della “storia dell’Essere”. Ne avevo  già scritto,  sul “Foglio” .
 
Ma è ora in libreria, passata finora sotto silenzio, una raccolta di saggi che si propongono di smantellare le critiche e di dimostrare l’assoluta estraneità del filosofo rispetto a quelle pesanti accuse: F.W. von Herrman – F. Alfieri: “Martin Heidegger. La verità sui ‘Quaderni  neri’ “, 459 pagg., Morcelliana 2016, 35 euro.  Francesco Alfieri è Docente presso la Pontificia Università Lateranense. Difficile riassumere questa ponderosa  silloge che si presenta con l’avallo di Hermann Heidegger e di Arnulf Heidegger, “Amministratore del Nachlass di Martin Heidegger”. I saggi recano altre  autorevoli  firme, quelle di Leonardo Messinese e di Claudia Gualdana.

Di sicuro, le argomentazioni che vi sono offerte sono molto abili e hanno un forte  crisma di credibilità; quello che è meno convincente e a mio avvio inficia le ricostruzioni è che tutti i saggisti puntano a dimostrare come le accuse rivolte a Heidegger  sono il frutto di una sorta di congiura tessuta in perfetta malafede, soprattutto da persone ignoranti di filosofia, al più pennaioli dilettanti.  Né persuade la tesi  secondo la quale i “Taccuini” sono scritture private, che non possono essere poste allo stesso livello di importanza delle grandi opere teoretiche del filosofo. Heidegger  fu sempre esplicitamente molto attento a queste sue riflessioni, seppur  d’occasione,  non sembra le abbia trattate come un “notebook”  per  insignificanti, incidentali appunti.

Ma in definitiva, per quanto sia allettante e appaia attuale, la polemica sull’antisemitismo è , nel quadro di una complessiva analisi (o critica) del pensiero heideggeriano , vicenda secondaria. I saggisti del volume di cui stiamo parlando sono unanimi nel respingere l’idea che il loro filosofo possa essere sottoposto ad una critica “in termini politico-ideologici”  invece  che “in modo puramente oggettivo e scientifico”: per loro, “Il pensiero heideggeriano della storia dell’essere o della storia dell’evento non ha nulla a che vedere con un pensiero politico-ideologico ma è (...) un pensiero fenomenologico-speculativo”. E invece, a mio (modesto) avviso di non filosofo di professione, la filosofia heideggeriana è  impregnata di politica, anche se in una formulazione ellittica, di alto stampo metafisico, e sollecita risposte politiche: anzi, ha storicamente  provocato  forti, seppur  indirette risposte politiche. 

La politicità di Heidegger è nel cuore stesso di tre  suoi temi essenziali: il rifiuto della modernità e della sua tecnica (all’interno del quale trovano posto, forse anche solo per incidens, leconsiderazioni dal tono antisemita); la condanna del  pensiero “inautentico”, legata strettamente alla tesi, centralissima nelle sue opere più importanti, dell’”essere-per-la morte”, un tema  presente in vasti  settori della “destre” estreme d’Europa, con il loro macabro élitismo. La riflessione sulla tecnica è segnata da un profondo pessimismo, dalla convinzione -   del  resto condivisa da altri pensatori, Marcuse e la Scuola di Francoforte,  Hannah Arendt, Hans Jonas, il nostro Emanuele Severino, ma anche  largamente diffusa,  almeno fino a ieri,- nella Chiesa cattolica - che  la tecnica moderna sia manifestazione  della logica nichilistica che pervade e sostanzia  il mondo industrializzato e capitalistico, non – come a me invece sembra -  l’ultimo (teleologico?) sviluppo di quella caratteristica che è propria dell’homo abilis, quella del pollice opponibile e della mano prensile, adatta a maneggiare strumenti e a fabbricare tecnologia,  caratteristica che lo distingue dalla scimmia antropomorfa dalla mano ancora atta ad un comportamento da  arboricolo.

Quante scelte concretamente politiche sono state assunte, in Europa e più latamente nell’Occidente industrializzato e globalizzato, su questa linea, magari contemporeaneamente – e contraddittoriamente - alla richiesta di liberalizzazione delle tecniche di mutazione genetica per  piante di largo uso alimentare? Non è un caso che proprio in Europa, in una cultura che direttamente o indirettamente si  rifà al pensero di Heidegger , si manifesti  la maggiore contrarietà a questa “liberalizzazione” tecnologica.



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