sabato 22 febbraio 2014


DUE O TRE COSE SULLA DEMOCRAZIA


(da "Il Foglio")

Girellando in libreria mi imbatto in un titolo, banale  e parecchio abusato: “L'Islam è conciliabile con la democrazia?" Oggi è un po' logorato ma ci ha perseguitato a lungo, da quando la crisi mediorientale ha portato l'Islam, tra fondamentalismo e terrorismo, a confrontarsi con le democrazie occidentali non più in posizione subordinata e magari folkloristica ma con la pretesa di essere soggetto storico/politico a pieno diritto. Sulla questione si è speso un diluvio di parole, si sono foggiate da una parte e dall'altra - in un infinito ping pong - dimostrazioni ugualmente persuasive e improbabili. Ad un incompetente come me, il dilemma si trasformava in un interrogativo un po' sarcastico, mi ricordava che lo stesso dubbio è stato più volte sollevato nei confronti, per dire, della Chiesa cattolica. Poi lo spunto si dilata, mi vien fatto di pensare che oggi la democrazia è in crisi non tanto perché insidiata dall'Islam ma perché si è fatta fragile, inquieta e vacillante in paesi nei quali pur era storicamente ben radicata. Al riparo del comodo alibi delle deficienze dell'Islam, nell'Occidente democratico ed accusatore sono stati commessi, contro la democrazia, parecchi misfatti, fino al punto da metterne in forse se non la sopravvivenza almeno la buona salute. Risolvo almeno momentaneamente i miei dubbi deliberando che la democrazia è sempre inconciliabile, incompatibile, con ogni altra presenza istituzionale. Mi ripeto che la democrazia, se è, è una sfida: ed è una balla che sia neutra, o che sia il luogo del "politically correct", del "pensiero unico". La democrazia è la posta di una battaglia continua e incerta. Almeno per l'oggi.

Il nome, il termine che la designa ci viene dalla Grecia classica, ma è vero forse quel che alcuni storici contemporanei arguiscono, e cioè che nemmeno in quella Grecia, nell'Atene dell'Agorà e di Pericle, essa ebbe piena e autentica realizzazione, restando piuttosto come un mito, un simbolo, una aspirazione (altri parlano di vero e proprio "alibi") rispetto a pratiche "effettuali" - come direbbe il Guicciardini - di ben altro sapore.  E tuttavia alla Grecia dobbiamo essere grati perché, pur irrealizzato, questo simbolo, questo mito, si fa o tende a farsi progetto continuamente rinnovantesi, come ossessione latente e positiva. Pare che germi di democrazia siano stati seminati in medievali abbazie monastiche, nelle quali il progetto di comunità di persone intese secondo l'approfondimento cristiano portava come conseguenza l'accettazione, la promozione, di un metodo di reggimento nel quale tutti e ciascuno avessero tendenzialmente gli stessi diritti e le stesse possibilità. La democrazia come governo tra pari è poi cresciuta, si è scontrata con mille ostacoli, di censo, di classe, di genere, di razza: con un andamento di cui Croce fu profeta ("la storia è storia di libertà") la democrazia si è fusa con il concetto di laicità. Per quel tanto o quel poco che essa è possibile, la democrazia ha bisogno della laicità, così come questa ha bisogno di quella. Perciò sono così sempre impazienti e infelici, l'una nei confronti dell'altra: l'una non vede pienamente realizzata quell'altra di cui ha bisogno. E reciprocamente. Intorno a loro c'è sempre un assedio di forze avverse e ostili, non solo i fondamentalismi religiosi ma ogni sorta di fondamentalismo, compresi quello laicista e quello scientista.

Quanto, nella sua semplicità e trasparenza, sia complicato  e quanti problemi possa sollevare il concetto di democrazia ce lo dice, curiosamente, quel che sta avvenendo oltreTevere. "I vescovi italiani intendono conservare al Santo Padre la liberta' di nomina del loro presidente". Lo ha annunciato recentemente il neo segretario della Cei, monsignor Nunzio Galantino: "io non so cosa avesse in mente il Papa, di sicuro voleva un maggior coinvolgimento dei vescovi". Insomma, il Papa aveva concesso facoltà ai vescovi italiani di eleggersi il Presidente, e loro hanno respinto l'offerta: che era un'offerta, credo si possa dire, di democrazia. "Se il Papa poi dirà che non abbiamo capito, e ci chiederà: 'voglio che siate voi a fare il nome', allora noi lo faremo - ha proseguito il monsignore - ma al momento ci e' piaciuto conservare il legame con il Papa". Analogamente, dalla consultazione di base tra i reverendissimi emerge una preferenza per quanto riguarda la figura del segretario generale: "La maggioranza chiede che sia un vescovo e che anche lui sia nominato dal Papa su una rosa di nomi, proposta dalla Presidenza, sentito il Consiglio Episcopale Permanente". "I pastori - si legge nel comunicato finale del Consiglio - hanno sottolineato che tale forma, prevista dallo Statuto, appare come un buon punto di equilibrio che tutela rispettivamente la liberta' del Santo Padre, il rapporto particolare del presidente con il segretario generale e le istanze di partecipazione del Consiglio Permanente". Storicamente è quasi sempre accaduto che sia stata l'autorità (figurarsi poi se l'autorità è il Papa) a resistere alla concessione di una qualche forma di coinvolgimento democratico. In Vaticano la situazione si è rovesciata.

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