giovedì 13 febbraio 2014


                                                                  TEA FOR TWO

                                                                      da "Il Foglio"




La scena (la scenetta) è per ora solo immaginaria, ma potrebbe diventare realtà. Dunque: il 3 aprile la regina d'Inghilterra, Elisabetta II, scenderà a Roma in visita ufficiale. Incontrerà naturalmente Napolitano, ma anche  papa Francesco. In Vaticano, ovviamente. Secondo indiscrezioni giornalistiche, Elisabetta non indosserà il velo, e non sarà ricevuta in un salone di quelli soliti per le visite solenni ma nella palazzina di Santa Marta, in una delle stanzette dove vive e lavora papa Bergoglio. Secondo indiscrezioni, o fantasie giornalistiche, il papa offrirà una tazza di tè alla sua interlocutrice. Possiamo immaginare che i due siederanno in comode poltrone, l'uno di fronte all'altra. Il caffè si può anche bere in piedi - è una bevanda “veloce” - il tè è una bevanda “lenta” e, notoriamente, ha la sua etichetta e le sue tradizioni, particolarmente solenni in Inghilterra: però, niente a che vedere con l'etichetta delle visite di un Sovrano al Soglio pontificio.

La notizia, se corrisponde a verità, non passerà inosservata. La si collocherà accanto alle tante altre cui questo papa ci ha abituato e che per la loro novità hanno riscosso applausi ma anche critiche. Ma un'altra immagine corre sui giornali, in questi giorni: è la foto di una motocicletta, una americana Harley Davidson autografata – assicura il giornale – “al volo, sul serbatorio del bolide nero”, sempre da papa Bergoglio, e venduta all'asta per una cifra iperbolica, perecchie volte superiore al valore commerciale della sola moto. Assieme, è stata "battuta" anche la giacca in pelle, immagino simile a quella immortalata da Marlon Brando nel film "Il selvaggio". Il ricavato sarà devoluto alla Caritas ed utilizzato per il restauro dell'ostello Don Luigi Di Liegro, alla stazione Termini di Roma, chiuso per lavori da più di un anno. Un'opera buona, senz'altro. Ma insieme alla immagine del tè con la Regina, offre lo spunto per qualche osservazioncella forse non inutile. I due eventi offrono ancora una volta l'immagine di un papa familiare, alla mano, che si comporta come un normale uomo della strada, famoso ma lontano dalle etichette. Però, forse qui non si tratta di etichetta ma di aura. L'etichetta è un insieme di convenzioni, puntigliosamente rituali ma pur sempre aperte a modifiche quando e se necessarie. L'aura invece è una condizione che travalica, o si sforza di travalicare il senso dell'umano, da cui non può essere condizionata né tanto meno intaccata: è anzi ai confini con il sovrumano, la sua funzione è proprio quella di allontanare l'uomo da sé per trasportarlo in una sfera assai prossima al divino. Nella tradizione iconografia, non solo cristiana ma di origine orientale, l'aura veniva simboleggiata dall'aureola, la raggiera dorata che circondava la testa di santi ed angeli a significare la loro partecipazione al divino ("aureola" ha la stessa radice, è un diminutivo di "aura"). E quale istituzione ha più prestato attenzione a mantenere forte e viva, luminosa, l'aura attorno ai suoi personaggi, in primo luogo il papa che, non va dimenticato, è successore di Pietro, investito del suo ufficio direttamente da Gesù Cristo? Il papa è insomma una figura intimamente carismatica, che necessariamente deve porre tra sé e il resto del mondo un distacco incolmabile. Sicuramente ogni papa, tra le mura della sua residenza, beve tè o caffè. Sembra che a Giovanni XXIII non dispiacesse, a pranzo, anche un bicchiere di vino. Ma nessuna figura investita dall'aura si farebbe cogliere mentre beve o mangia: l'aura trasferisce chi ne è partecipe nella sfera dell'immaterialità. Se dunque papa Francesco prenderà "pubblicamente" un tè (con biscottini, secondo l'usanza britannica?) abbandonerà quel che di aura gli è comunque attribuibile anche quando, consapevolmente, la trascura o la dismette.

Tutto questo ha un senso, sicuramente: papa Francesco non è un ingenuo. Ma sa pure che una figura come la sua ha bisogno di una ritualità speciale, non può comportarsi come il vicino di casa con cui si scambiano quattro chiacchiere sul pianerottolo. Sarebbe interessante (ma io non ne sono capace) analizzare la tradizione gesuitica su un tema come questo. Probabilmente l'ordine di Ignazio di Loyola interpreta in modo specificamente suo la tradizione e i suoi obblighi.  Escluderei, comunque, che papa Bergoglio voglia abbandonare la tradizione nel suo complesso, in omaggio o come portato ineluttabile di una laicizzazione dettata dall'invidia della modernità. E' più adeguato pensare che si sia posto come obiettivo il ridisegnare i canoni, la cifra della sacralità papale, istituzionale, che lui forse ritiene sia logora e inutilizzabile, da riconquistare attraverso una nuova pratica, quella dei grandi riti interiori, a partire dalla carità, di cui sicuramente il mondo moderno ha particolare bisogno. Qualcuno, molto autorevole, sembra abbia detto in questi giorni, con probabile (non simpatetica) allusione a Bergoglio e al suo presunto irenismo, che non si è cristiani se non si combatte. Una definizione senz'altro valida. Basta capire quali siano le armi e i campi di battaglia propri e adeguati ad un seguace, anzi al rappresentante di Cristo. 5260

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