Una inutile strage?
da "Il Foglio", 29/1/2015
Senza
il rituale scambio di strumenti diplomatici (così si conviene
ai
nostri tempi barbarici) la guerra è finalmente scoppiata.
Covava
sotto le ceneri. Un Occidente tormentato da qualche perplesso
distinguo scruta dagli spalti l'Islam avanzare come gli
arcieri nella
foresta di Macbeth, li vedi e non li vedi. Del conflitto
conosciamo
tutto: i contendenti, le opposte ragioni, le asimmetriche
strategie,
almeno qualcuno dei capi e comandanti. Teatro dello scontro?
Conosciamo anche questo, un quotato giornale ha pubblicato un
inserto
dal titolo eccitante: "Atlante dell'attacco al cuore
dell'Europa". Uno degli articoli proclama: "Dalle piazze,
la libertà". Sulle piazze si può discutere, l'importante è
che lo scontro sia letto come scontro tra "libertà"
(meglio: liberté) e "sottomissione", il preveggente titolo
dell'ormai famoso romanzo di Houellebecq. Niente vie di mezzo,
la
"sottomissione" - ovviamente all'Islam - sarebbe
l'inevitabile destino che l'Europa, perdendo la guerra, deve
attendersi. La sconfitta, peraltro, era decretata da tempo:
per una
quantità di intellettuali, politologi, opinionisti, da Samuel
Huntington, a Robert Kagan, a Bernard Lewis, etc., l'Europa è
un
territorio venusiano, devoto alla molle e imbelle dea della
seduzione
dei sensi, dimentico del maschio decisionismo di Marte. Ma
l'Europa è
sineddoche dell'intero Occidente: il giurista e politologo
cattolico
Boeckenfoerde sostiene che i disastri economici attuali
rivelano la
presenza di una spirale autodistruttiva che la modernità
occidentale sembra avere in sé. Il capitalismo occidentale
"non soffre
solo di propri eccessi, della bramosia e dell'egoismo degli
uomini
che agiscono in esso", ma segnala una crisi che tocca anche la
sua idea-guida "in quanto razionalità strumentale". A
disagio è l'intera architettura del sistema... E ora
aggiungete alla
lista la Francia: il saggista e giornalista del "Figaro"
Eric Zemmour, nel suo «Suicide français», sostiene che la
Francia dei francesi si sta autodistruggendo di fronte
all’Islam e
che forse si deve cominciare a pensare al rimpatrio di massa
di
quegli immigrati, come fu il caso per i francesi di Algeria
alla
proclamazione dell’indipendenza dell’ex colonia. Un fuggi
fuggi
generale, una resa senza condizioni.
Non
condivido questa (ri)costruzione. Mici incaponisco. Non penso
che
l'Occidente - e con esso l'Europa - sia la terra dell'occaso,
del
tramonto. L'Occidente non solo ha esportato fino a ieri tutti
i
valori costitutivi della e delle culture mondiali, ma ha ancor
oggi
immensi compiti che solo la sua tradizione e capacità
evolutiva
possono garantire. Il primo è, in assoluto, la difesa e la
promozione del concetto di persona, sua eredità e patrimonio
pressoché esclusivo. Questo concetto nasce della fusione di
tradizioni millenarie, dalla grecità classica e stoica a
quella
specificamente romana e a quella cristiana. Si intreccia, in
un
dialogo-scontro secolare, con quello di individuo, nel quale a
mio
avviso erroneamente si ispira in modo esclusivo la modernità.
Ha
dimensioni e confini vari, può dilatarsi dal nichilismo di
Cioran
fino al personalismo di Maritain, in un confronto e dibattito
serrato
ma, nel suo genere, unico. Sbaglierò, ma temo che in molte
culture
non occidentali poco se ne sappia e lo si apprezzi. E non
penso tanto
o solo alla cultura e spiritualità islamica quanto, per dire,
a
quella confuciana. I catastrofisti del tramonto
dell'Occidente,
rinfocolati dalla strage di Charlie Hebdo, hanno una strana
idea di
progresso e di civiltà: per costoro questi valori hanno senso
solamente nell'aggressività, nella esibita e ovviamente sempre
vincente superiorità militare e di conquista, comunque in una
reazione di tipo militar-poliziesco. Con la mia spicciola
cultura
liberale, io invece ritengo che non vi sia progresso che non
promani,
sviluppi e realizzi al possibile il concetto di persona. Che è
un
concetto eminentemente inclusivo. Non inerte né irenico, ma
esigentemente colloquiale: non annichila l'"altro".
Una
efferata coincidenza ha fatto sì che la strage dell'Charlie
Hebdo
arrivasse in contemporanea con l'uscita del libro di
Houellebecq così
assurto, da libello satirico qual era, ad espressione di una
pensiero
grande e profetico. Ma al massimo, a mio avviso,
"Sottomissione"
è un ennesimo esempio di visione utopica novecentesca,
preceduto da
molte altre opere del genere, da "Noi" di Zamyatin a
Orwell, allo Huxley de "Il mondo nuovo" e all'italianissimo
(e poco considerato) "L'Uomo è forte" di Corrado Alvaro
(rientra nel novero, parallelamente, anche "Arancia
meccanica",
di Stanley Kubrick). Le utopie elaborate dal Rinascimento di
Tommaso
Moro e Campanella fino a socialismo democratico e
solidarista di
Fourier puntavano, ottimisticamente, alla costruzione della
città
ideale, con molto Platone nella ricetta. L'utopia moderna è
stata
pessimista e catastrofista; soprattutto, queste opere si
ispiravano,
per satireggiarlo, al modello dello Stato sovietico, e in
generale,
totalitario. Quando quel sistema è crollato, hanno peduto
l'aura profetica, se mai l'hanno avuta, restano per il loro
valore
letterario.
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