mercoledì 28 gennaio 2015



Una inutile strage?

da "Il Foglio", 29/1/2015


Senza il rituale scambio di strumenti diplomatici (così si conviene ai nostri tempi barbarici) la guerra è finalmente scoppiata. Covava sotto le ceneri. Un Occidente tormentato da qualche perplesso distinguo scruta dagli spalti l'Islam avanzare come gli arcieri nella foresta di Macbeth, li vedi e non li vedi. Del conflitto conosciamo tutto: i contendenti, le opposte ragioni, le asimmetriche strategie, almeno qualcuno dei capi e comandanti. Teatro dello scontro? Conosciamo anche questo, un quotato giornale ha pubblicato un inserto dal titolo eccitante: "Atlante dell'attacco al cuore dell'Europa". Uno degli articoli proclama: "Dalle piazze, la libertà". Sulle piazze si può discutere, l'importante è che lo scontro sia letto come scontro tra "libertà" (meglio: liberté) e "sottomissione", il preveggente titolo dell'ormai famoso romanzo di Houellebecq. Niente vie di mezzo, la "sottomissione" - ovviamente all'Islam - sarebbe l'inevitabile destino che l'Europa, perdendo la guerra, deve attendersi. La sconfitta, peraltro, era decretata da tempo: per una quantità di intellettuali, politologi, opinionisti, da Samuel Huntington, a Robert Kagan, a Bernard Lewis, etc., l'Europa è un territorio venusiano, devoto alla molle e imbelle dea della seduzione dei sensi, dimentico del maschio decisionismo di Marte. Ma l'Europa è sineddoche dell'intero Occidente: il giurista e politologo cattolico Boeckenfoerde sostiene che i disastri economici attuali rivelano la presenza di una spirale autodistruttiva che la modernità occidentale sembra avere in sé. Il capitalismo occidentale "non soffre solo di propri eccessi, della bramosia e dell'egoismo degli uomini che agiscono in esso", ma segnala una crisi che tocca anche la sua idea-guida "in quanto razionalità strumentale". A disagio è l'intera architettura del sistema... E ora aggiungete alla lista la Francia: il saggista e giornalista del "Figaro" Eric Zemmour, nel suo «Suicide français», sostiene che la Francia dei francesi si sta autodistruggendo di fronte all’Islam e che forse si deve cominciare a pensare al rimpatrio di massa di quegli immigrati, come fu il caso per i francesi di Algeria alla proclamazione dell’indipendenza dell’ex colonia. Un fuggi fuggi generale, una resa senza condizioni.

Non condivido questa (ri)costruzione. Mici incaponisco. Non penso che l'Occidente - e con esso l'Europa - sia la terra dell'occaso, del tramonto. L'Occidente non solo ha esportato fino a ieri tutti i valori costitutivi della e delle culture mondiali, ma ha ancor oggi immensi compiti che solo la sua tradizione e capacità evolutiva possono garantire. Il primo è, in assoluto, la difesa e la promozione del concetto di persona, sua eredità e patrimonio pressoché esclusivo. Questo concetto nasce della fusione di tradizioni millenarie, dalla grecità classica e stoica a quella specificamente romana e a quella cristiana. Si intreccia, in un dialogo-scontro secolare, con quello di individuo, nel quale a mio avviso erroneamente si ispira in modo esclusivo la modernità. Ha dimensioni e confini vari, può dilatarsi dal nichilismo di Cioran fino al personalismo di Maritain, in un confronto e dibattito serrato ma, nel suo genere, unico. Sbaglierò, ma temo che in molte culture non occidentali poco se ne sappia e lo si apprezzi. E non penso tanto o solo alla cultura e spiritualità islamica quanto, per dire, a quella confuciana. I catastrofisti del tramonto dell'Occidente, rinfocolati dalla strage di Charlie Hebdo, hanno una strana idea di progresso e di civiltà: per costoro questi valori hanno senso solamente nell'aggressività, nella esibita e ovviamente sempre vincente superiorità militare e di conquista, comunque in una reazione di tipo militar-poliziesco. Con la mia spicciola cultura liberale, io invece ritengo che non vi sia progresso che non promani, sviluppi e realizzi al possibile il concetto di persona. Che è un concetto eminentemente inclusivo. Non inerte né irenico, ma esigentemente colloquiale: non annichila l'"altro".

Una efferata coincidenza ha fatto sì che la strage dell'Charlie Hebdo arrivasse in contemporanea con l'uscita del libro di Houellebecq così assurto, da libello satirico qual era, ad espressione di una pensiero grande e profetico. Ma al massimo, a mio avviso, "Sottomissione" è un ennesimo esempio di visione utopica novecentesca, preceduto da molte altre opere del genere, da "Noi" di Zamyatin a Orwell, allo Huxley de "Il mondo nuovo" e all'italianissimo (e poco considerato) "L'Uomo è forte" di Corrado Alvaro (rientra nel novero, parallelamente, anche "Arancia meccanica", di Stanley Kubrick). Le utopie elaborate dal Rinascimento di Tommaso Moro e Campanella fino a socialismo democratico e solidarista di Fourier puntavano, ottimisticamente, alla costruzione della città ideale, con molto Platone nella ricetta. L'utopia moderna è stata pessimista e catastrofista; soprattutto, queste opere si ispiravano, per satireggiarlo, al modello dello Stato sovietico, e in generale, totalitario. Quando quel sistema è crollato, hanno peduto l'aura profetica, se mai l'hanno avuta, restano per il loro valore letterario.

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