martedì 24 febbraio 2015

SEGMENTI DI TEORIA POLITICA RADICALE
da (Cronache del Garantista,  22/02/2015)

Le idee? Camminano sui corpi

“Dal corpo del malato al cuore della politica”. E' il motto, l'insegna, sotto la quale l'Associazione Luca Coscioni conduce le sue battaglie. E' un motto, una insegna di grande spessore: evoca  i temi e i problemi che una seria e forte politica sanitaria/assistenziale dovrebbe affrontare per far sì che i corpi malati vengano seguiti, curati, secondo le migliori norme e disposizioni possibili. Su questi temi e problemi, l'Associazione è sempre attenta - addirittura da una posizione di avanguardia - pungolando costantemente le autorità responsabili perché reperiscano i mezzi economici ed umani, ammodernino le strumentazioni, adeguino i trattamenti così che il malato, il disabile, il sofferente possano ricevere l'assistenza migliore possibile e persino recuperare, grazie ai ritrovati della tecnica, una parte almeno delle abilità e capacità perdute. L'Associazione si occupa anche della morte, in quanto anch'essa è  "momento" della vita. Ma con quel suo motto si spinge ben più avanti: ci avverte che il corpo è non solamente - come pure deve essere - "oggetto", "cura", della politica; della politica è soprattutto "soggetto". Forse, ne è il vero, ultimativo soggetto.

Siamo dinanzi ad una rivoluzione culturale, che ha lontane origini e determina uno specifico modello politico destinato ancora, probabilmente, ad un lungo cammino. A mettere in moto questa rivoluzione furono in Italia, oltre mezzo secolo fa, i radicali guidati da Marco Pannella. Provenivano da esperienze ideali diverse, il nucleo centrale direttamente dalla breve parabola di quel partito radicale che era nato, nel 1955, per iniziativa di liberali, azionisti, socialisti (più un nutrito gruppetto di giovani usciti dalle esperienza della politica universitaria) ma presto si era esaurito e agli inizi degli anni '60 stava agonizzando, per le inadeguatezze di una classe dirigente non preparata al compito e non sufficientemente attenta e disponibile verso le novità che stavano manifestandosi su scala mondiale e richiedevano forme nuove di impegno politico e sociale. I radicali che assunsero, dietro a Marco Pannella, la responsabilità di quella tradizione e di quel nome, seppero invee essere pienamente contemporanei delle grandi rivoluzioni che stavano sconvolgendo la scena politica americana per poi propagarsi, globalmente, in tutto l'Occidente.

i figli dei fiori

Nei primi anni '60 nasceva nella Università di Berkeley, in California, il "Free Speech Movement"  in opposizione alla guerra nel Vietnam. Nel 1969, nel corso di una famosa "protesta" al Parco del Popolo circa l'utilizzazione di un lotto di terra, gli studenti entrarono in conflitto con la Guardia Nazionale: se non il seme, fu l'abbrivio di un movimento  culturale e politico che rovesciò e riformulò i canoni dell'etica pubblica, delle istituzioni e  persino dell'economia. Nasceva in quegli ambiti la cultura "hippie" dei cosidetti "figli dei fiori" , destinata a diffondersi in tutto il mondo. Il termine «hippie» deriva da «hipster», ed era stato inizialmente utilizzato per descrivere i "beatnik" che avevano ereditato i valori della "Beat Generation" creando comunità i cui membri esploravano, attraverso l'impiego di stupefacenti,  il rock e la rivoluzione sessuale, le emozioni e gli stati profondi della coscienza. Intransigenti antimilitaristi (anche se totalmente avversari del contemporaneo pacifismo  di stampo filosovietivco) si opposero alla guerra nel Vietnam, inalberando motti divenuti presto famosi,  "Mettete dei fiori nei vostri cannoni" e l'erasmiano "Fate l'amore, non la guerra".  Nel 1967 lo "Human Be-In", un raduno giovanile tenutosi a San Francisco, rese popolare la cultura hippie preparando il terreno per la leggendaria "Summer of Love" dell'estate 1967 e per il festival di Woodstock di due anni dopo. La ricerca della totale libertà per l'individuo era il significato insito nel loro stile di vita. La rivoluzione si espanse a macchia d'olio. 

Dagli anni sessanta ad oggi, la moda e i valori "hippie" hanno avuto un notevole impatto sulla società, molti suoi aspetti e stili di vita sono diventati di comune dominio. La diversità culturale e religiosa, l'attenzione prestata ad ogni elemento spirituale che si contrapponga alla società consumista, hanno raggiunto pubblici eterogenei, in una miriade di forme. Ma, al di là del folklore, la cultura hippy ha investito nel profondo la prassi e la teoria del far politica, innestando prepotentemente al suo centro,  per la prima volta, il corpo.  Nasceva qui  il moderno libertarismo, che sostituiva - anche sul piano teorico - il tradizionale liberalismo.  Del liberarismo - diciamo - alla Constant, il libertarismo nato nei campus  americani coglieva il rispetto per il diritto e la legge. Prendeva però, subito dopo, altre strade. Non a caso le sue radici profonde riemergevano dalla fine dell'ottocento, dalla epopea di una Londra vittoriana attraversata dai fremiti innovatori di un socialismo "umanitario" di altissime ambizioni. In che cosa il libertarismo nato da quel socialismo premarxista si distingueva dal liberalismo, diciamo così, classico? Il liberalismo insegnava ad agire sulle istituzioni attraverso il partito e cercava di modificare e migliorare le leggi  mettendo in campo procedimenti e canali legalitari e parlamentari. Il libertarismo sviluppatosi a partire da una cultura  socialista e dalla prassi dei figli dei fiori pose il singolo, l'individuo, come diretto interlocutore - nella sua fisicità -  delle istituzioni. Ed era un singolo che rivendicava per sé - ma non solo per sé - nuovi diritti, mai fino ad allora entrati nel circolo della politica: i "diritti civili". Nasceva il concetto e la speranza di una democrazia nuova, integrale, attenta alla "persona".

l'individuo, non il partito

Pur rispettoso dell'iniziativa partitico-parlamentare di stampo liberale, il libertario apre l'interlocuzione  con l'Istituzione ponendo in atto una serie di pratiche a carattere fortemente individuale, soggettivo.  Il modello essenziale e fondamentale della sua prassi politica è l'"azione diretta": il libertario  utilizza, come strumento di lotta, innanzitutto il suo proprio corpo, nella sua fisicità e visibilità.  La politica liberale si fa in parlamento, quella libertaria nasce per la strada.  Con i più classici sit.in (o i "walk around" e le "cartellonate" dei radicali italiani) grazie ai quali attirare l'attenzione dei media e della stampa (e quindi fare informazione) ma anche con l'arma dello sciopero della fame, può porre all'opinione pubblica, direttamente piuttosto che attraverso il parlamento, le sue domande, i suoi interrogativi. L'iniziativa dei pochi, addirittura del singolo, diventa tema di una più vasta riflessione e iniziativa.  Il libertario non è però un violento, non può essere assimilato ad alcuni movimenti  di "dissenso"  che hanno occupato recentemente le piazze americane o europee, dagli "Occupy" agli "Indignados" ai  "Podemos", ai rivoluzionari delle primavere arabe fino ai grillini italiani che pure si richiamano all'individualismo e praticano un antistatualismo esasperato. Anche in questi movimenti è viva una carica libertaria (che si nutre anche dall'uso del web e dei "social network", ambiziosi di praticare una informazione "alternativa", svincolata dalle pastoie, dagli obblighi, dalle reticenze, dai silenzi e anche dalle menzogne di quella praticata dai "media" istituzionali) ma i metodi non sono paragonabili con quelli del libertario nato dal grande filone anglosassone/americano degli anni sessanta e dalle sue attuali propaggini, quando e dove esistano. Questo libertario pone innanzitutto un problema di legalità, chiede che i suoi diritti ("diritti civili") vengano riconosciuti da una legge votata in parlamento. Il diritto è esempre un punto obbligatorio di riferimento, la legge richiesta viene spesso presentata e suggerita nelle sue articolazioni, mentre i movimenti di tipo "Occupy" - movimenti più di rivolta  che di proposta - non hanno una pari rigorosa determinatezza negli obiettivi e molto spesso si (auto)limitano all'agitazione di una protesta diretta contro la "casta" politica, indicata cone responsabile dell'attuale, globale, crisi, o anche contro un "mercatismo" che favorirebbe (anche secondo uno studioso oggi di moda, Picketty)  una inaccettabile diseguaglianza nella ripartizione dei beni e dlle ricchezze.
Sicuramente, dietro alla protesta ci sono ragioni politicamente anche profonde, che però richiederebbero un altro, diverso approccio (forse ce ne occuperemo più avanti).

l'individuo, non la massa

Per gli attuali movimenti, comunque, quel che conta è la massa: la massa che gremisce la piazza, che sfida la polizia e le forze dell'ordine con la massiccia quantità dei patecipanti all'evento, ecc.  Il libertario agisce invece, al meglio, da solo. In questa sua visibile solitudine sprigiona tutta la dialettica politica del confronto tra, appunto, l'individo, e l'istituzione. All'istituzione anonima, il libertario oppone se stesso, con tanto di nome e cognome, ponendo a volte a repentaglio, comunque sempre esponendo il suo proprio corpo: non si copre il volto con il fazzoletto, non fa nulla per sfuggire alla arresto o alla cattura. Al massimo, darà vita ad un sit-in per rimuoverlo da quale le forze dell'ordine dovranno sollevarlo di peso.  Mette così in moto una dialettica carica di implicazioni teoriche di estrema attualità, se è vero che la (ri)fondazione delle istituzioni statuali e di governo  dovrà tener conto dei "ciritti civili", che per definizione sono diritti dell'individuo. Da questa differenza di metodo, oltre che di obiettivi, la preoccupazione che i recenti movimenti del dissenso possano naufragare nei loro intenti: essi non danno spazio all'individuo, all'individuo che con la sua consapevole iniziativa di "disobbedienza civile" si trasforma in "soggetto", visibile e determinato, della politica.  Questa incapacità a proporre  un interlocutore precisamente individuabile, un vero "soggetto", può avere la conseguenza  che i movimenti del dissenso non ottengano i risultati prefissi ed anzi, in molti casi, finiscano col rafforzare l'elemento autoritario e "reazionario" del potere, che si arrocca in sé giustificando questa sua chiusura con la necessità di difendere le istituzioni dalla violenza cieca della piazza, accusata di essere disgregatrice, incapace di assumere responsabilità di governo. I radicali italiani nati negli anni sessanta sono libertari nel senso più stretto: ogni loro iniziativa è responsabile iniziativa di governo.

l'individuo si fa "soggetto"

Il potere teme il confronto con l' "individuo", avverte che costui richiama e mette in moto cospicui elementi di confronto ideale e istituzionale. Per questo cerca di demonizzarlo, ne distorce l'immagine dinanzi all'opinione pubblica, quando non riesce a seppellirla nel silenzio. Il potere (volto violento dell'autorità) fa informazione, fa persino pubblicità alla rivolta delle masse dissenzienti, ben sapendo che l'immagine della massa scomposta e violenta spaventa l'opinione pubblica; cerca invece accuratamente di non far vedere il volto e il corpo di chi fa lo sciopero della fame o pratica un sit-in mentre viene caricato dalla polizia assieme al suo cartello, perché sa bene che l'opinione pubblica - anche la più moderata e restia - finirà col parteggiare simpateticamente con l'inerme manifestante. Che in quel momento non è più solamente l'"individuo", ma diventa "soggetto". L'individuo, nel suo storico manifestarsi ad opera dell'Illuminismo settecentesco, si "contrappone" allo Stato ed al potere, ma in forme inadeguate e confuse. Nel contrapporsi, il "soggetto" libertario agisce, opera, dialoga, si muove attraverso la cronaca  e cerca di toccare la Storia. 

rischi ed equivoci

C'è un rischio, che qualcuno ha recentemente avvertito: quello di dare una interpretazione estetizzante al tema del rapporto tra politica e corpo. Il fascismo, come - paradossalmente - il terrorismo (o, durante la seconda guerra mondiale, i kamikaze giapponesi che si suicidavano gettandosi con il loro aereo sulle navi avversarie) pose il corpo al centro della sua azione politica: ma lo fece offrendolo alla morte. Solo con la morte ("la bella morte") il corpo entrava in politica, ieri per i fascismi, oggi per i vari fondamentalismi. Per i radicali è il contrario. Per i radicali il corpo chiede di vivere, chiede salute. Il motto è "Vita del diritto, diritto alla vita".

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