sabato 7 marzo 2015


 Domenico Segna
Intervista a Angiolo Bandinelli
  
"Giardini Crudeli"
Edizioni Pendragon, 2014
euro 10.00

Era una muraglia di ortiche, di felci, di logli, di gramigne, di farinelli, d’avene selvatiche..”: una pagina non sempre ricordata de I Promessi sposi del Manzoni fa da esergo al tuo romanzo.

La pagina manzoniana mi ha detto che il grande scrittore osservava la natura, o almeno il giardinetto sotto casa, con occhi non molto dissimili dai miei, la sua pagina si fonde perfettamente con le mie. Io l'ho scoperta molto dopo aver finito il mio lavoro e leggerla mi ha persino sgomentato, perché mai avrei pensato di trovare così profonda affinità di atteggiamento in uno scrittore di altri tempi, gusti e, soprattutto, statura. Credo che la pagina manzoniana sia un “unicum” per densità, non penso di assere arrivato a quella sua polifonia. Generosi amici critici, parlando del mio libro, hanno anche evocato gli intrichi (intrighi?) verdi di Zola o Proust. Ma il giardino-peccato più affascinante è per me quello nel quale Lady Chatterley incontra segretamente e colpevolmente il guardiacaccia...

Un fazzoletto di terra eletto a simbolo, il tuo: la voglia di coltivare fiori, piante, così belle, così crudeli. Esse sembrano comportarsi come gli esseri umani, o piuttosto, in questo tuo libro, sono quest’ultimi che si comportano come delle piante. Da dove nasce questo amore per i giardini, quale è il tuo sguardo sugli uomini, sulle donne, su quei rari esseri umani, protagonisti di secondo piano, che metti in scena nelle pagine del tuo romanzo “Giardini crudeli”?
L'amore per i giardini mi è stato trasmesso da mia moglie, scozzese (non "inglese", amava precisare). Ma, in generale, i britannici -  diciamo - sono, a differenza di noi latini ed italiani eredi di una millenaria tradizione "cittadina", figli di una cultura ancora profondamente legata alla terra. Uno dei loro grandi stereotipi umani e civici è il "Country Gentleman", etc. In più, il padre di mia moglie era un esperto agronomo, amministratore di grandi "farm", e mia moglie è vissuta, da bambina, in un ambiente ricco di natura. Da grande, magari, ne scappò via, per andare a vivere a Londra, o a Boston o infine Roma. Ma quando comperammo il nostro giardinetto umbro lei ritrovò le sue radici, e mi ci avvolse. Cominciammo a curare il pezzetto di terra, e per me fu una scoperta, una vera novità, anche se io stesso vengo da un ceppo campagnolo (toscano) se non contadino: mia nonna faceva il pane in casa, e io amavo l'odore che saliva dalla madia dove lei impastava la farina. Forse dalle scoperte fatte nel nostro giardino nasce una sorta di distacco dall'"umano", che passa in secondo piano rispetto alla "natura" per poi assumere da questa sensazioni, emozioni, vincoli, passioni e magari vizi, con un rovesciamento sicuramente non molto usuale, sul piano letterario. I critici di una Agenzia letteraria cui avevo inviato il dattiloscritto si meravigliarono, e mi risposero che sembrava proprio che i personaggi del racconto fossero le piante. Per loro era strano: evidentemente non avevano capito nulla di quelle mie pagine.

Leggendo “Giardini crudeli” mi sono ritrovato immerso in una sorta di distopia, a tratti mi ha fatto venire in mente un “conte philosophique”, un racconto filosofico di Voltaire…rovesciato. Dopo aver conosciuto tutti i mali della vita, l'unica certezza, conclude Candido, il protagonista dell’omonimo romanzo volterriano, è "che bisogna coltivare il proprio giardino". Il problema è che queste piante, questi fiori, questo stesso giardino sono il nostro miserabile specchio e, dunque, anche quest’unica certezza del povero Candido sembra avere in te come sbocco un “nichilismo religioso”. In fondo così Ti ho sempre visto, un “nichilista religioso” dall’ironico sorriso che ancora mantieni intatto.

Sono onorato di sentirti dire che il mio libro ha qualcosa del "conte philosophique", alla Voltaire. Un amico critico, Matteo Marchesini, lo ha definito "una parabola". E' indubbio che in me ci sia qualcosa del moralista, in fondo i miei studi più profondi e intensi sono stati di carattere filosofico, e Sant'Agostino, con le sue "Confessioni", è un mio grande amore. Ma sono diffidente di etichette e definizioni, anche di una assai prestigiosa (o almeno snobistica) quale è l'esser visto come un “nichilista religioso”. Ma non va dimenticato che forse nei miei giardini, che io ho chiamato “crudeli”, c'è anche un bel pizzico di Sade. Mentre scrivevo non pensavo proprio a cose del genere, l'ipotesi è stata avanzata da poco, e mi ha inizialmente stupito. Forse questa connotazione di sadismo, se non di crudeltà, non piacerà al lettore. Oggi (ma forse sempre) si ama il “lieto fine”, che non fa pensare. Beh, il mio libro non è di questo genere. Magari non ci sono riuscito, ma la mia ambizione è fare pensare un po'...

Crociano impenitente, del filosofo abruzzese – lo so che lui si considerava napoletano, ma un napoletano che passava tutte le estati in montagna mi sembra un bizzarro ossimoro, un strano incrocio di una pianta coltivata tra le zolle di Saturno – hai prediletto il suo ultimo periodo: in una tua poesia lo immagini come ipnotizzato dal “verde orrore”, una Vita, nella sua crudezza  virente destinata a sommergere, come ha sottolineato Matteo Marchesini, le categorie dei distinti.

Croce è un filosofo in senso innanzitutto etico: direi, curiosamente, alla Shaftesbury. Croce ci indica dei valori umani, colti dagli "exempla" forniti dallo studio della storia, che per lui è innanzitutto storia "etica": anche se, negli ultimissimi anni, rivalutò un certo vitalismo, come radice (toh!) profonda e ineliminabile dell'Essere o, se vuoi, della Coscienza.

Eliot, un santo giglio, Coleridge, un’illegale mariujana, Stevenson una pianta rampicante: Angiolo Bandinelli, radicale storico, a quale pianta vorresti essere associato?  
Facciamo un mix? Mia moglie organizzava dei vasi con dentro poutpourri di foglie e petali di vari fiori. Ne venivano fuori profumi ed odori molto belli.

                                                                                Domenico Segna

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