C'EST LA FAUTE A' HEIDEGGER (*)
Posso
confessare, senza essere messo alla gogna, che detesto Heidegger, la
sua filosofia, il suo curriculum pubblico, persino - forse - lo
Heidegger uomo? Che non riesco a capire l'infatuazione per il suo
oracolare pensiero, i suoi enigmatici scritti, tradotti, ritradotti e
ripubblicati con mistica reverenza, la valenza universale fino a ieri
a lui attribuita, da destra come da sinistra, o almeno da personalità
non marginali della destra come della sinistra? Posso dire che ancor
più detesto quei suoi seguaci o imitatori, che cercano di riprodurne
anche le peculiarità, o i tic di filosofo, o ermeneuta, del
linguaggio, senza possedere la sua mistificatoria capacità di
giocoliere (di una lingua, il tedesco, che peraltro a quest'arte si
presta parecchio)? Posso infine dire che il suo pensiero mi appare
non solo lontano ma vuoto di significati, inutile al mondo di oggi
(non è il solo pensatore a palesarmi la sua inutilità: insieme ad
Heidegger, anche se su un altro scaffale, porrei ad esempio Antonio
Gramsci).
La mia
diffidenza per Heidegger ha ovvia origine in primo luogo dalla
constatazione, credo unanime, che il professore universitario, l'uomo
pubblico, se non proprio il pensatore, quand'anche non abbia aderito
ufficialmente al nazismo certamente ne secondò le gesta, anche
quelle eticamente o culturalmente più negative. Certo, una analoga
adesione simpatetica la ritroviamo in una quantità di intellettuali
del tempo, non solo tedeschi: fu dramma storico epocale, non colpa di
singoli. Anche Giovanni Gentile, altro filosofo dell'Assoluto, aderì
al fascismo rendendosi responsabile di parecchie malefatte del
regime. Fu persino lo strenuo, ultimo presidente dell'Accademia
d'Italia, la cui sede trasferì a Firenze per sottrarla all'avanzare
degli alleati. Ma la differenza tra i comportamenti di Heidegger e
quelli di Gentile è grande. Gentile declinò un nazionalismo
conservatore che era altra cosa dal fascismo, e con l'Enciclopedia
Italiana costruì un monumento culturalmente non solo ambizioso, ma
sostanzialmente decoroso, tanto da sopravvivere alla fine del
fascismo, conservando intatto l'impianto se non i collaboratori.
Infine, Gentile fu oppositore del Concordato - posizione temeraria,
all'epoca - e proprio per questo venne accantonato da Mussolini
assieme alla sua riforma della scuola, non la peggiore tra quante ne
hanno subite le istituzioni educative italiane. Gentile insomma
assunse responsabilità aperte, conseguenti, decorose e autonome in
direzione di un conservatorismo proiettato sulla modernità e sul
futuro, senza cedimenti verso i miti e riti del suolo e sangue, di
sicuro più in sintonia con la predicazione di un pastore dell'Essere
fautore di quell'Umanesimo “in cui è in gioco non l'uomo, ma
l'essenza storica dell'uomo nella sua provenienza dalla verità
dell'Essere”. Gentile - credo si possa dire - tentò, sbagliando,
di ricondurre anche il fascismo all'Umanesimo senza aggettivi. Ben
altra storia.
La
“verità dell'Essere”... L'angoscia della /per la tecnica, gli
“Holzwege” - i sentieri interrotti nei pallidi boschi del nord -
la centralità e squisitezza dell'arte, sono temi che esaltano non la
specificità positiva e storicamente determninata dell'individuo, del
soggetto, ma la sua supponenza di essere un privilegiato unicum. C'è
in Heidegger una profonda lontananza dalla cultura democratica. Il
suo concetto di pensiero autentico (e del suo contrario, il pensiero
inautentico) è una visione tardoromantica del privilegio, del
distacco che occorre mantenere rispetto a quelli che cedono la
propria singolarità alla pubblicità dell'anonimo “si”, al
chiacchiericcio e alla banalità del quotidiano, una
immedesimazione da cui si sottrae solo l'elite che arriva a
scegliersi, a “conquistarsi” perché riesce a penetrare
nell'essere delle cose, nella loro “autenticità”, rapportandosi
direttamente ad essa. C'è qualcosa di ancora wagneriano in una
concezione così elitaria del “sapere”, che non può guadagnarsi
la qualifica di laico. non conosco (e spero sia una mia mancanza) un
post-heideggeriano non dico liberista, ma moderatamente liberale.
Gira e rigira, sono tutti sfegatati difensori di una politica che,
per essere fondata sull'essere, è nei suoi sottofondi totalitaria,
se non altro perché è totalizzante. Ai niostri giorni è investito
di enormi responsabilità proprio il pensiero banale, l'inautentico
delle moltitudini, il chiacchiericcio che è la sostanza del “chat”
o dei “social network”, il gridare tumultuoso nelle piazze del
mondo. C'è chi vuole demonizzare i network, internet, il mondo
volatile dell'informatica. attribuendo loro colpe innumerevoli,
granandoli di tutti i mali del presente. Non è così, quel mondo
informe, un vero blob globalizzato è la sola riserva di umanità su
cui e con cui dobbiamo confrontarci. Anzi, curiuosamente, questo
tumultoso ioundeggiare dell'anionimo del chiacchiericcio è può
approdare a risultati positivi solo se si ascolta, si accetta e si
stima. E' vero altresì, approfondendomla questione che mai come oggi
l'uomo vive una condizione di “Geworfeheit”,
dell'”essere-gettato-.nel mondo”, in piena nudità storica, senza
appigli, alibi, possibilità di rivestimento, di sostengo
identitario. Ogni identità storica, aqcuisita, è a rischio,
potrebbe essere destinata a scomparire senza possibilità di ritorno.
Ma sarebbe altrettanto pericoloso ed inutile cercare la salvezza
aggrappandosi, appunto, ad un qualche residuo di identità.
L'identità possibile e desiderabile è quella che ciscun uomo,
nell'indeterminatezza dell'essere-gettato-nel mondo scopre come
suapotenzialità, tutta nuova, da inventare, nel confronto, ancghe
drammatico, con l'altro, o – se si preferisce – gli altri. in u,
. E non mi pare che Heidegger o alcuno dei suoi seguaciabbia mai
previsto che la modernità non è investita dai mali della tecnica,
ma dalle ambiguità sconcertanti della gùfinanza.
I
catastrofisti, sono non meno impotenti. Nessuna risposta da parte
loro, quando parlano si vede che recitano la fotocopia di testi
dettati da altri, in altra sede. Nessuno di questi auspicabili
salvatori è un hideggeriano.
Questo
marchio lo troviamo anche in chi, postheideggeriano fedele, promuove
un pensiero “debole” che ha orrore di affermazioni dal sapore
duranente onotlogico, alla fine ….con i difensori di un pensiero
politico decisamente rigido, incapace di convivere con la modernità,
quellla fluida e magri, per questo, difficile, dei media. Che sono
uno degli strumenti ermeneutici del nostro mondo
Qualcuno
potrebbe chiedermi perché mai mi occupo di un pensatore così
lontano nel tempo, fors'anche dalla coscienza e dagli interessi di
oggi. E' vero, Heidegger appare ormai epocalmente distante, è
difficile rivolgersi a lui per avere qualche indicazione su come
comprendere un mondo che semmai ha fame di tecnica, di soluzioni
tecniche (anche di tecniche economiche) che lo aiutino nelle
difficoltà di una crisi epocale. E tuttavia c'è chi ancora, magari
senza citarlo e per vie indirette, segue lo stesso suo cammino, di
demonizzazione della modernità, di messa in onda di un catastrofismo
senza speranza. Per costoro Heidegger è ancora maestro e modello.
Sembra impossibile. Semmai si può dire che l'Europa è in declino, è
moribonda, è in eclisse, penso si debba dire che “c'est la faute à
Heidegger”.
(*) da
“Il Foglio”
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