sabato 21 luglio 2012



C'EST LA FAUTE A' HEIDEGGER (*)


Posso confessare, senza essere messo alla gogna, che detesto Heidegger, la sua filosofia, il suo curriculum pubblico, persino - forse - lo Heidegger uomo? Che non riesco a capire l'infatuazione per il suo oracolare pensiero, i suoi enigmatici scritti, tradotti, ritradotti e ripubblicati con mistica reverenza, la valenza universale fino a ieri a lui attribuita, da destra come da sinistra, o almeno da personalità non marginali della destra come della sinistra? Posso dire che ancor più detesto quei suoi seguaci o imitatori, che cercano di riprodurne anche le peculiarità, o i tic di filosofo, o ermeneuta, del linguaggio, senza possedere la sua mistificatoria capacità di giocoliere (di una lingua, il tedesco, che peraltro a quest'arte si presta parecchio)? Posso infine dire che il suo pensiero mi appare non solo lontano ma vuoto di significati, inutile al mondo di oggi (non è il solo pensatore a palesarmi la sua inutilità: insieme ad Heidegger, anche se su un altro scaffale, porrei ad esempio Antonio Gramsci).

La mia diffidenza per Heidegger ha ovvia origine in primo luogo dalla constatazione, credo unanime, che il professore universitario, l'uomo pubblico, se non proprio il pensatore, quand'anche non abbia aderito ufficialmente al nazismo certamente ne secondò le gesta, anche quelle eticamente o culturalmente più negative. Certo, una analoga adesione simpatetica la ritroviamo in una quantità di intellettuali del tempo, non solo tedeschi: fu dramma storico epocale, non colpa di singoli. Anche Giovanni Gentile, altro filosofo dell'Assoluto, aderì al fascismo rendendosi responsabile di parecchie malefatte del regime. Fu persino lo strenuo, ultimo presidente dell'Accademia d'Italia, la cui sede trasferì a Firenze per sottrarla all'avanzare degli alleati. Ma la differenza tra i comportamenti di Heidegger e quelli di Gentile è grande. Gentile declinò un nazionalismo conservatore che era altra cosa dal fascismo, e con l'Enciclopedia Italiana costruì un monumento culturalmente non solo ambizioso, ma sostanzialmente decoroso, tanto da sopravvivere alla fine del fascismo, conservando intatto l'impianto se non i collaboratori. Infine, Gentile fu oppositore del Concordato - posizione temeraria, all'epoca - e proprio per questo venne accantonato da Mussolini assieme alla sua riforma della scuola, non la peggiore tra quante ne hanno subite le istituzioni educative italiane. Gentile insomma assunse responsabilità aperte, conseguenti, decorose e autonome in direzione di un conservatorismo proiettato sulla modernità e sul futuro, senza cedimenti verso i miti e riti del suolo e sangue, di sicuro più in sintonia con la predicazione di un pastore dell'Essere fautore di quell'Umanesimo “in cui è in gioco non l'uomo, ma l'essenza storica dell'uomo nella sua provenienza dalla verità dell'Essere”. Gentile - credo si possa dire - tentò, sbagliando, di ricondurre anche il fascismo all'Umanesimo senza aggettivi. Ben altra storia.

La “verità dell'Essere”... L'angoscia della /per la tecnica, gli “Holzwege” - i sentieri interrotti nei pallidi boschi del nord - la centralità e squisitezza dell'arte, sono temi che esaltano non la specificità positiva e storicamente determninata dell'individuo, del soggetto, ma la sua supponenza di essere un privilegiato unicum. C'è in Heidegger una profonda lontananza dalla cultura democratica. Il suo concetto di pensiero autentico (e del suo contrario, il pensiero inautentico) è una visione tardoromantica del privilegio, del distacco che occorre mantenere rispetto a quelli che cedono la propria singolarità alla pubblicità dell'anonimo “si”, al chiacchiericcio e alla banalità del quotidiano, una immedesimazione da cui si sottrae solo l'elite che arriva a scegliersi, a “conquistarsi” perché riesce a penetrare nell'essere delle cose, nella loro “autenticità”, rapportandosi direttamente ad essa. C'è qualcosa di ancora wagneriano in una concezione così elitaria del “sapere”, che non può guadagnarsi la qualifica di laico. non conosco (e spero sia una mia mancanza) un post-heideggeriano non dico liberista, ma moderatamente liberale. Gira e rigira, sono tutti sfegatati difensori di una politica che, per essere fondata sull'essere, è nei suoi sottofondi totalitaria, se non altro perché è totalizzante. Ai niostri giorni è investito di enormi responsabilità proprio il pensiero banale, l'inautentico delle moltitudini, il chiacchiericcio che è la sostanza del “chat” o dei “social network”, il gridare tumultuoso nelle piazze del mondo. C'è chi vuole demonizzare i network, internet, il mondo volatile dell'informatica. attribuendo loro colpe innumerevoli, granandoli di tutti i mali del presente. Non è così, quel mondo informe, un vero blob globalizzato è la sola riserva di umanità su cui e con cui dobbiamo confrontarci. Anzi, curiuosamente, questo tumultoso ioundeggiare dell'anionimo del chiacchiericcio è può approdare a risultati positivi solo se si ascolta, si accetta e si stima. E' vero altresì, approfondendomla questione che mai come oggi l'uomo vive una condizione di “Geworfeheit”, dell'”essere-gettato-.nel mondo”, in piena nudità storica, senza appigli, alibi, possibilità di rivestimento, di sostengo identitario. Ogni identità storica, aqcuisita, è a rischio, potrebbe essere destinata a scomparire senza possibilità di ritorno. Ma sarebbe altrettanto pericoloso ed inutile cercare la salvezza aggrappandosi, appunto, ad un qualche residuo di identità. L'identità possibile e desiderabile è quella che ciscun uomo, nell'indeterminatezza dell'essere-gettato-nel mondo scopre come suapotenzialità, tutta nuova, da inventare, nel confronto, ancghe drammatico, con l'altro, o – se si preferisce – gli altri. in u, . E non mi pare che Heidegger o alcuno dei suoi seguaciabbia mai previsto che la modernità non è investita dai mali della tecnica, ma dalle ambiguità sconcertanti della gùfinanza.
I catastrofisti, sono non meno impotenti. Nessuna risposta da parte loro, quando parlano si vede che recitano la fotocopia di testi dettati da altri, in altra sede. Nessuno di questi auspicabili salvatori è un hideggeriano.


Questo marchio lo troviamo anche in chi, postheideggeriano fedele, promuove un pensiero “debole” che ha orrore di affermazioni dal sapore duranente onotlogico, alla fine ….con i difensori di un pensiero politico decisamente rigido, incapace di convivere con la modernità, quellla fluida e magri, per questo, difficile, dei media. Che sono uno degli strumenti ermeneutici del nostro mondo

Qualcuno potrebbe chiedermi perché mai mi occupo di un pensatore così lontano nel tempo, fors'anche dalla coscienza e dagli interessi di oggi. E' vero, Heidegger appare ormai epocalmente distante, è difficile rivolgersi a lui per avere qualche indicazione su come comprendere un mondo che semmai ha fame di tecnica, di soluzioni tecniche (anche di tecniche economiche) che lo aiutino nelle difficoltà di una crisi epocale. E tuttavia c'è chi ancora, magari senza citarlo e per vie indirette, segue lo stesso suo cammino, di demonizzazione della modernità, di messa in onda di un catastrofismo senza speranza. Per costoro Heidegger è ancora maestro e modello. Sembra impossibile. Semmai si può dire che l'Europa è in declino, è moribonda, è in eclisse, penso si debba dire che “c'est la faute à Heidegger”.

(*) da “Il Foglio”




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