lunedì 30 luglio 2012



VON TRIER E IL MIRACOLO
(da “Il Foglio”)

Oppresso dalla calura, per passare le serate mi rifugio nei DVD. Li prendo ad una biblioteca comunale che ne ha una buona collezione anche se un po' invecchiata, con l'inarrestabile prosciugarsi dei fondi temo che non potranno più acquistarne di nuovi. Questa volta ho puntato su un regista difficile, Lars von Trier. “Le onde del destino” - “Breaking the Waves” - è un suo film del 1996, protagonista una impareggiabile Emily Watson. E' la storia di una ragazza scozzese che abita in un piccolo paese delle Highlands la cui vita sociale è minuziosamente tenuta d'occhio e controllata dal consiglio degli anziani della chiesa calvinista, gretti, ritualisti e sessuofobi. Bess, giovane, spensierata e un po' infantile, si innamora e sposa Jan, un operaio che lavora su una piattaforma petrolifera al largo della costa e che gli anziani della chiesa guardano con sospetto: per loro è uno “straniero”. I due si amano con trasporto, anche sessuale. Quando Jan deve rientrare sulla piattaforma per lavorare, Bess soffre moltissimo la sua lontananza. In strani, immaginari colloqui con Dio, prega ardentemente perché torni presto da lei. Ma Jan è vittima di un grave incidente, e rimane paralizzato. Impotente e immobile nel lettino d'ospedale, suggerisce a Bess di fare l'amore con un altro uomo e di venire poi a raccontargli i particolari: è come se facessero l'amore loro due, le dice. Bess dapprima inorridisce, poi si persuade che obbedendo al desiderio di Jan potrà aiutarlo a vivere, e magari a guarire. Così comincia a frequentare uomini, i primi che incontra. E, curiosamente, ogni volta che lei fa sesso Jan ha miglioramenti o addirittura scampa alla morte. I medici avvertono Bess che il marito è in preda a una mente ormai malata e ossessionata, ma lei non vuole dare loro retta. In un finale (melo)drammatico, Bess viene violentata e maltrattata dagli uomini cui si è offerta, fino a morire. Ma ecco che il miracolo si realizza e Jan ha uno spettacolare miglioramento, riacquistando l'uso del corpo, fino a poter lasciare l'ospedale. Resta profondamente e sinceramente addolorato dalla morte dell'amata Bess.

Il film pone, in qualche modo, il tema del miracolo. E' vero, o almeno possibile, che Bess ha salvato Jan con il sacrificio del suo corpo? Se è vero, per quanto increduli, dovremo riconoscere il miracolo. O invece si tratta di una allucinata e allucinante sequenza di coincidenze? Von Trier è regista complesso e controverso, che esplora i momenti e le situazioni borderline dell'esistenza, con un pedale molto spinto sui temi del sesso, abbastanza espliciti e crudi anche in questo film. Convertito al cattolicesimo dopo un'educazione rigorosamente atea, cinico e persino con debolezze filo-naziste, non mi pare che Trier voglia qui aprirsi davvero al miracolo: pone una domanda, le gira intorno, la esaspera fino al sadismo, ma direi che volutamente non ci dà risposta. Comunque, la sequenza degli eventi può dar adito ad una interpretazione nella quale abbia parte la fede nel miracolo, come premio all'ingenuo misticismo di Bess, in lotta con una cultura medica impregnata di razionalismo scientista ma anche con un opprimente fanatismo fondamentalista. Sono andato a scartabellarmi certi appunti presi sfogliando libri nuovi in libreria, e ho ripescato una citazione che mi aveva subito affascinato e che per questo avevo copiato sul taccuino. E' dello storico Jacques Le Goff, grande studioso del medioevo : un periodo nel quale la fede (o la credenza) nel miracolo era parte costitutiva della vita e della società. La citazione recita, testualmente: “Il miracolo esiste a partire dal momento in cui ci si può credere, e tramonta e poi sparisce quando non ci si può più credere”. La trovo molto bella, accettabile anche da un laico (forse, non da un laicista). Cosa ci dice Le Goff? Innanzitutto, che la fede nel miracolo non è un dato residuale, quasi folkloristico, credenza buona per il popolino ignorante o per anime deboli. La fede nel miracolo è un aspetto particolare della fenomenologia dell'esistenza umana che con un suo specifico linguaggio e suoi specifici significati si pone accanto ad altri linguaggi e momenti epistemologico-logici. E', insomma, un comportamento che trova la sua verità nella utilità e nei benefici che può offrire. Ovviamente, c'è anche uno sfruttamento interessato delle credenze (se non della credulità) della gente, e questo sfruttamento va condannato. Ma una adesione formale e rigida ai canoni del razionalismo può portare, con la condanna di ogni miracolismo, su posizioni persino irrazionali e comunque irragionevoli e ingiuste. Bess è convinta, fino al sacrificio, che il suo comportamento, illogico per i più e inconsapevolmente fanatico, abbia un senso e una funzione. Ingenuamente si nutre della sua fede e per lei, appunto, “il miracolo esiste dal momento in cui ci si può credere”. Siamo all'interno dello scandalo dell'esistenza, uno scandalo che nessun razionalismo potrà mai eliminare. A me pare che sia molto laico accettare questa contraddizione. Nessuno ha il diritto di precludere ad altri le vie della speranza: anche Bess, a suo modo, resiste al negativo del mondo.



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