L'UOMO
E I SUOI FRATELLI
da
“Il Foglio”
Stavolta
non si scappa, bisogna arrendersi all'evidenza. Le attese e
convincenti prove sono state rese pubbliche nel corso del Congresso
Europeo di Scienza planetaria tenutosi nei giorni scorsi a Madrid. In
quella autorevolissima sede, un gruppo di astrofisici dell'Università
di Princeton, dell'Università dell'Arizona e del Centro spagnolo di
Astrobiologia ha dato conferma di quanto si vociferava da tempo: la
vita potrebbe non essere nata sulla Terra, nel nostro pianeta sarebbe
arrivata per opera di microorganismi che hanno viaggiato
nell'interspazio su frammenti di meteoriti provenienti da altri
pianeti. Tutto parte dalla scoperta che rocce, o frammenti di rocce,
possono viaggiare nel vuoto interstellare - contrariamente a quanto
si credeva fino a ieri - a relativamente bassa velocità, e possono
quindi essere catturate dalla forza gravitazionale di un pianeta
diverso da quello di partenza. Il ragionamento, fondato su complesse
teorie matematiche avviate nel 1925 da un ingegnere tedesco. è
tortuoso e non sarò io a renderlo più comprensibile. Ma gli
scienziati che lo hanno elaborato possono (quasi) garantire che un
trecento milioni di anni fa spore di vita sono state trasportate qua
e là per l'universo, sono approdate sulla Terra e qui, trovato un
ambiente favorevole, hanno iniziato a riprodursi, a moltiplicarsi e
ad evolvere. Ci sono ancora, avvertono gli scienziati, dei quesiti
irrisolti, non tutto è stato chiarito, ma l'approssimazione alla
certezza è buona. La teoria, il cui nome scientifico è
“litopanspermia”, è peraltro assai antica, può essere
rintracciata fin nella cultura classica greca. Di recente era stata
riproposta, anche autorevolmente, ma a partire da congetture e quindi
raccogliendo più scetticismo che consensi.
Voi
direte: ma perché questa teoria, quando definitivamente accertata,
può essere tanto rivoluzionaria? Ma, rispondo io, se è accaduto
così come oggi viene non più solo ipotizzato, si può anche
ragionevolmente pensare che alcune (o molte) di quelle spore vaganti
abbiano raggiunto altri pianeti ancora, nei quali le condizioni
ambientali erano analoghe a quelle della Terra, così da permettere
loro di sopravvivere e svilupparsi in forme - non potrebbe essere? -
analoghe, o addirittura identiche, a quelle presenti sul nostro.
Quelle spore, nate da un medesimo ceppo e con identiche
caratteristiche “organiche” avrebbero dato così origine - sia
pure a distanze enormi le une dalle altre - a strutture vitali
identiche o assai simili. E, proseguendo sul filo di un ragionamento
non impossibile, avrebbero potuto produrre non solo un “alieno”
ma una sorta di gemello dell'uomo. Perché no? Non saprei dire quante
possano essere, statisticamente, le possibilità perché questo sia
davvero accaduto, escluderlo a priori sarebbe però dogmatico,
fideistico. Se invece accettassimo - sia pure in via ipotetica - la
tesi, dovremmo concludere che l'uomo non può più essere considerato
il centro ideale, spirituale, dell'universo. E', o sarebbe, una delle
forme possibili di una vita diffusa, in moduli paralleli a quelli che
conosciamo, in svariati punti dello spazio. La scoperta si pone come
una ulteriore (definitiva?) conferma a livello sperimentale della
formidabile intuizione di Giordano Bruno, quella degli “infiniti
mondi”. Non solo sono infiniti i mondi, ma infinite sono anche le
possibilità della presenza di esseri dotati di una vita organica,
fors'anche psichica, analoga alla nostra.
Può il
fideista sfuggire a questo ragionamento, azzardato quanto si vuole ma
assolutamente - penso - lecito? Si può continuare a credere
nell'atto unico della creazione? Sarebbe come ammettere, se non
altro, che dio è uno sprecone colossale, che si muove come un
giocatore che affida ai dadi lo sviluppo successivo del suo gesto
iniziale. Ma intanto, mentre gli astrofisici intervengono nella
disputa sulla creazione dell'uomo, gli antropologi, o i
paleoantropologi, continuano ad almanaccare sulle vicende dell'uomo
primitivo. Già da parecchio tempo si stava facendo strada la tesi
che la linea evolutiva dell'umanità non sia unica ma si apra a
ventaglio su rami, specie, sottospecie e varietà più o meno
diversificate. La più nota, anche fuori della cerchia scientifica, è
la varietà “neandertalense”, assai diversa dall'”homo sapiens”
con il quale pure convisse a lungo, non sappiamo se mescolandosi ad
esso o no. Adesso, certi fossili scavati nel 2003 nell'isola di
Flores, in Indonesia, fanno pensare che siano vissute specie “umane”
non solo diverse, ma addirittura non collegate tra loro. Sembra
insomma che l'uomo che noi conosciamo, la specie cui apparteniamo,
sia solo una variante tra le tante autonomamente comparse e scomparse
sullo scenario terrestre. Gli antropologi cui si deve la scoperta
dell'”homo floresiensis” sostengono che la nuova specie sarebbe
piuttosto ben collegata ai bonobo e agli scimpanzè. Una vertigine di
ipotesi... Anche qui, la teoria della creazione unica se non proprio
dell'afflato divino sull'argilla di Adamo ed Eva non regge più:
dicono di crederci solo i fondamentalisti della “Bible Belt”. Ma
è il concetto stesso di creazione che viene profondamente intaccato.
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