giovedì 7 febbraio 2013


ANATEMA  E  DIRITTO
(da "Il Foglio", 7/2/2013)

Frequentai, da studente, il Liceo Ginnasio Giulio Cesare di Roma. Alcuni dei professori, e non solamente insegnanti di religione, erano preti, uno era addirittura un capitano dell'esercito e inalberava gradi e stellette sulla tonaca e il cappello. Non era il peggiore: molto peggio di lui fu un professore di religione, ovviamente anche lui prete. Siccome eravamo adolescenti già in fregola di indipendenza lo contestavamo: uno di noi - si chiamava Lucio Manisco, poi divenuto giornalista e parlamentare - veniva in classe con qualche opera di Nietzsche nella famosa edizione Bocca, e ne tirava fuori spunti di polemica antireligiosa ai quali il poveretto spesso non riusciva  a rispondere. Aveva comunque un modo di fare che ci provocava (credo di averlo già ricordato). Nella classe c'erano due ragazzi di famiglia dichiaratamente atea, e un metodista. All'ora di religione i tre si alzavano in piedi, chiedevano il regolare permesso e uscivano. Il professore, o forse è meglio dire il prete, puntava il dito verso la porta dell'aula che si era appena chiusa alle loro spalle e  sogghignava: “Il diavolo... sono figli del diavolo...” o una cosa simile. Naturalmente, un certo numero di noi compagni di classe si strinse ai tre malcapitati. Il metodista, per riconoscenza, mi regalò una minuscola edizione dei Vangeli nella traduzione cinquecentesca del Donati. Solo anni dopo scoprii che si trattava della prima e bellissima traduzione italiana, naturalmente proibita in Italia.

Negli anni, ho spesso avvertito che un certo modo apocalittico di fare polemica mettendo all'indice il non credente, il disobbediente alle leggi della chiesa, è quasi connaturato nei polemisti o in esponenti cattolici. Ora leggo che il Cardinal Bagnasco, presidente della Cei, commentando il voto favorevole dell'Assemblea Nazionale francese al matrimonio e all'adozione per le coppie gay, ha osservato: "Siamo vicini al baratro". Mi permetto di dissentire. Perché "vicini al baratro”? Cosa succederà mai, se e quando gli omosessuali francesi celebreranno, ovviamente con cerimonia laica, i loro matrimoni?  Cosa è successo in Spagna, dove il matrimonio gay venne introdotto dal detestato Zapatero ma non è stato revocato da Rajoy? Per restare solo in Europa, le nozze gay sono legittime anche in Norvegia  e in Svezia, in Islanda e in Portogallo, in Belgio e in Olanda, mentre la Germania e l'Austria, l'Ungheria, la Slovenia, la Svizzera e il Liechtenstein hanno legalizzato le unioni civili per quelle coppie. In Inghilterra, i Comuni hanno dato il primo voto favorevole. Non mi pare che le donne di quei paesi siano state trasformate in statue di sale come la moglie di Lot, voltatasi indietro a guardare la distruzione della peccaminosa Sodoma. Alcuni osservano addirittura che la maggior parte di questi paesi appartiene all'area dell'Europa virtuosa ed efficiente, che guarda dall'alto in basso l'Europa meridionale, cattolica, intollerante, ma anche economicamente disastrata.  A che giova, insomma, una condanna tanto apocalittica?

Non v'è dubbio che la dottrina cattolica predica l'amore tra e verso gli uomini. Ma la prassi quotidiana è quella della condanna, anzi dell'anatema nei confronti del dissenso, della diversità. C'è qualcosa di sconcertante in questa pratica, certamente dovuta alla storica compartecipazione al potere politico sancita dalla decisione costantiniana (che era comunque un decisione liberalizzatrice, visto i cristiani erano, assieme agli ebrei, considerati estranei alla cultura e alla moralità dell'Impero). Anche la prassi riformata, da Lutero a Calvino, ha continuato su questa strada. Io non credo possibile né realistico attendersi che la chiesa romana possa retrocedere - come immaginano molti, attratti dalle seduzioni di un protestantesimo di fantasia - verso soluzioni puramente spiritualistiche e/o carismatiche, ma penso debba essere avvertito anche nelle gerarchie il peso intollerabile di un giuridicismo che conosce solo l'apocalittica condanna e non contempla l'apertura alle esigenze dei diversi – chiunque essi siano - attraverso la cruna dell'amore fraterno, della com-partecipazione. La minaccia dell'inferno, l'invocazione dell'apocalisse è assai peggiore della condanna all'ergastolo dei codici laici, non a caso sempre più contestata dagli spiriti aperti, come punizione inaccettabile, sostanzialmente violenta, inumana. Dovremo dunque invocare o impore alla chiesa di allentare la sua guardia nei confronti del'edonismo dei desideri? Niente affatto, basterebbe che essa tenesse in considerazione i diritti umani e civili previsti da una antropologia  in continuo divenire, fattasi plastica grazie a una globalizzazione che sta traformando antiche consuetudini e severe tradizioni, immutabili tabù e credenze in forme folkloristiche, da conservare nelle teche dei musei etnologici ma ormai sorpassate dall'uomo multiforme dei nostri tempi. Occorre ribadire che grazie a questo atteggiamento il cammino laico - diciamo, dell'illuminismo - rivendica la sua superiorità rispetto alle religioni costituite?

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