giovedì 21 febbraio 2013


IL PAPA E IL METEORITE
da "Il Foglio"


Cosa si può - e si potrà - dire di più sulla "rinuncia al pontificato" di Benedetto XVI? Non c'è giorno o quasi che i media non ci rovescino addosso l'ultimo scoop, l'ultimo tweet, l'ultimo gossip, l'ultima confidenza, l'ultima insinuazione, l'ultima spiegazione delle complesse  vicende che si aggrovigliano attorno alla decisione di un pontefice che scende dal soglio e si ritira in solitaria preghiera e quasi clausura. In queste ore ci hanno propinato  più rivelazioni sul Vaticano e dintorni che negli otto anni del pontificato ratzingeriano. Ma allora si sapeva già tutto sui problemi e le difficoltà, come anche sui misteri, gli intrighi, gli affari, le diatribe, direi i delitti perpetrati dietro a quelle mura, più inquinate di Malagrotta, l'orrenda discarica di Roma? Perché non ce ne hanno parlato prima con altrettanta acrimonia, o anche voluttà, invece che con ovattate, allusive, reticenti parole, spesso da cortigiano? Ormai, nel merito, è  impossibile dire alcunché di nuovo. Ma siccome è impossibile sottrarsi io proverò a salvarmi mettendo in campo un pizzico di ironia, forse inedita. E allora: il 16 febbraio scorso, cioè a poche ore dalla rinuncia di papa Ratzinger, l'”Osservatore Romano" pubblicava in prima pagina un articolo, con foto, dal titolo: "Meteoriti piovono sugli Urali". Non so se il giorno stesso un qualche giornale (non mi pare fosse l'”Osservatore Romano”) pubblicava una foto ancor più sinistra, quella di un fulmine che in piena notte si abbatte sul Cupolone, in verticale sulla sua cuspide: nessun danno (visibile...). Sul piano simbolico il fulmine non era uno scherzo, ma che il giornale del Vaticano dia risalto al meteorite che esplodendo rasoterra fa più di mille feriti mi pare davvero eccessivo, la direi una prova di mancanza di ironia o di autoironia: a meno che il suo direttore, l'ottimo Vian, non abbia voluto concedersi una uscita in libertà, tanto per non piangere sempre: però come non ricordare una famosa scultura di Maurizio Cattelan del 2001, che suscitò grande scalpore? Si intitolava "La Nona Ora" e rappresentava papa Giovanni Paolo II, abbattuto a terra sotto il peso di un enorme meteorite...

Per chi, come me, è convinto che la via maestra della storia passa oggi per tutt'altre contrade, la clamorosa rinuncia di papa Ratzinger potrebbe essere l'occasione per un ripensamento? Inutile negare, innanzitutto a se stessi, che la vicenda appare epocale: si capisca, coinvolge quanto meno un miliardo e mezzo di persone in giro per il globo. Ma, da laico, non posso non osservare che avviene nel momento storico in cui si stanno sgretolando alcuni dei capisaldi - quei valori e temi "non negoziabili" - che il papa aveva posto a fondamento della propria pastorale, mentre Europa e Stati Uniti investono miliardi per carpire tutti i segreti del cervello (della mente?). In questa osservazione non c'è spirito di rivincita, sarebbe sciocco infilarsi nella schiera di coloro, tantissimi oggi, che vanno ripetendo "l'avevo detto, io", "l'avevo previsto, io". Siamo di fronte ad eventi storici, a mutamenti - anche antropologici  - globali, di cui nessun può portar vanto.

Non succederà nulla, ovviamente, né nell'immediato né nei tempi medi. Ma incombe la percezione che la chiesa romana può essere messa in discussione, ormai, dalle fondamenta. Ciò che è quasi inconcepibile è che questo sia accaduto per iniziativa del papa considerato più conservatore, più lontano dalla modernità. C'è però, nell'iniziativa ratzingeriana, un elemento che può far di nuovo rovesciare ogni conclusione. Parlando ai parroci di Roma, Ratzinger ha detto: io sarò ancora con voi, non in pubblico ma nella preghiera. "Nella preghiera": cioè nel momento più alto e solenne della partecipazione dell'uomo alla mistica della fede. Colui che si è dichiarato "inadeguato" avrà ancora, chiuso nel silenzio della preghiera, un peso enorme, massiccio, sull'intera costruzione ecclesiastica. Ci avverte che la modernità vera, per la chiesa, non è nemmeno il confronto, vincente o perdente che sia, sui temi sensibili o sul rapporto con il potere, ma è nella comunione della preghiera. Solo sulla preghiera può essere fondata la autentica modernità della chiesa. In filigrana si  avvertono le invettive di un Lutero o la fiamma di Meister Eckhart, due tedeschi intrisi di quell'insidioso spiritualismo che il teologo Ratzinger aveva codannato attraverso Bonaventura da Bagnoregio ma che resta l'approdo ideale di ogni protestantesimo, di ogni vera o presunta riforma ecclesiale. Non spetta al non credente (o al credente-in-altro) mettere bocca, ma anche per lui l'affermazione presenta una sua bellezza, una indubbia profondità. Mentre l'ex papa si troverà immerso nel marasma del relativo da cui appare travolto e sconfitto, il suo richiamarsi alla preghiera costringe anche me, laico, a riconoscere che l'uomo ha in sé il senso di un (possibile) assoluto, non scalfibile dai colpi di una maligna attualità. Chi, anche laico, non ha a suo modo, rivolgendosi ad un suo dio del tutto interiore - il "deus absconditus" - pregato - riflettuto - in solitario silenzio?

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