giovedì 30 maggio 2013

IDENTITA'
da "Il Foglio, 30 maggio 2013

L'atroce sgozzamento di un soldato a Londra, il proditorio ferimento di un altro militare nel quartiere parigino della Défense -  opera, l'uno e l'altro crimine, di fanatici islamici - sono segnali inquietanti, se non anche sconvolgenti, che mettono ulteriormente a repentaglio le possibilità di convivenza tra le diverse culture ormai stabilmente incardinate nelle nostre città. Non ci volevano proprio, mentre è ancora bruciante il ricordo della strage tentata dai due fratelli ceceni durante la maratona di Boston. Si verificano disordini, sentimenti e giudizi sono accesi - tra l'intransigenza vendicativa e il tentativo di superamento ragionevole, se non razionale, delle conflittualità messe a nudo. L'ovvia domanda è: ma questi orrori si ripeteranno? Sicuramente, anche nelle forme più estreme. Sono del resto, essi stessi, conseguenze e ripetizioni, o accentuazioni, di una infinità di gesti analoghi, di cui la cronaca internazionale è piena da anni. "Terrorismo, terrorismo!" gridano privati cittadini e responsabili uomini politici. Sarà: però io, senza esitazioni, aggiungerei alla lista anche il suicidio di  Dominique Venner, l'intellettuale francese che si è sparato a Notre Dame per protesta contro l'approvazione di una legge per il matrimonio gay. Nella loro differenza di motivazione, questi eventi hanno qualcosa in comune: fanno tutti riferimento, dichiaratamente o meno, ad un tema specifico e preciso. A me lo ha evocato proprio Venner quando, nella lettera consegnata all'amico perché venisse letta dopo la sua morte, dice: "Io difendo l'identità di ogni popolo nella sua terra, mi ribello al crimine che ha per obiettivo di sostituire il nostro popolo". La chiave del ragionamento è nella parola "identità".

Il problema dell'identità è, per l'uomo sempre incombente, stringente e drammatico, capace di spingere ad ogni gesto, anche il più folle, come vediamo. E non vi è dubbio - Venner è esplicito, il gridio dell'islamico  inglese è confuso e ossessivo ma non lascia dubbi - che le violenze di cui mi sto occupando siano state compiute in difesa di una identità sentita come insidiata nelle sue radici. Il suicida di Parigi non poteva sopportare l'idea che i diversi, i gay, possano essere livellati e “identizzati” con coloro che, a diritto o no, sentono di intrepretare la ”normalità” (e non è il solo a pensarlo, nella Francia laicista il corteo contro quei matrimoni ha avuto un bel successo, anche se non ha fermato la legge né bloccato il trionfo ottenuto, a Cannes, da un film di amori saffici). L'islamico inglese problemi di identità ne aveva di sicuro: era, tra l'altro, convertito di recente all'islamismo, e una conversione nasce comunque da una domanda sulla propria identità, alla quale il mutamento di fede vuole essere la risposta adeguata.

Il tema dell'identità va posto al primo, o ai primissimi posti tra quelli che travagliano il mondo di oggi, un mondo in crisi. Ci angustiano, su scala planetaria, problemi economici che esigono l'attenzione di autorità e governi; ma anch'essi in fondo diventano strumentali rispetto al tema, nascosto e forse taciuto, dell'identità. C'è poco da fare, non ci sono leggi o divieti che possano impedire o frenare il formarsi a livello globale di un melting pot etnico, religioso e culturale dai risvolti ancora non ben noti e che finora affida la propria compattezza al circuito dei consumi omogeneizzanti: un processo che mette in crisi, prima di creare, una identità. La risposta che si è inizialmente data al tema delle identità minacciate è stata quella di chi ha invocato lo scontro di civiltà. Chi agitava questa bandiera non lo ha detto apertamente, ma di sicuro intendeva promuovere la tesi che l'Occidente ha il pieno diritto di rivendicare la propria superiorità su qualunque altra cultura, e quindi  il dovere di affrontare la guerra ideologica contro ogni avversario possibile - l'islam in primo luogo - mettendoci tutto l'impegno necessario per vincerla.  Ma tutto ci dice che il risultato sperato non è stato raggiunto.

La ideologia dello scontro di civiltà è forse l'ultima grande "narrazione" del secolo scorso. Quello cui assistiamo oggi, invece, non è un conflitto generale con ben disegnato e visibile il fronte lungo il quale lo scontro ha luogo, ma un tritume di piccoli eventi a livelli individuali, per i quali mi pare fuorviante evocare i grandi miti, a cominciare da quello del "terrorismo". La sequenza dei singoli (di per sé insignificanti) gesti resterà a lungo endemica. Diciamocelo: non c'è ancora nel mondo - nemmeno nel laico, tollerante, democratico Occidente - una politica dell'identità. Si prefersice ricorrere alle evocazioni mitiche, ai richiami a forze oscure, e così via. Giriamo intorno alla questione cincischiando sul termine di "identità" (o di "persona") ma non riusciamo a dare una soluzione ai problemi in ballo, se non la peggiore e più inutile: aggrappandoci cioè ciascuno di noi, per suo conto, alla sua personale idea di identità e di persona. E allora paura, angoscie, perdite di senso ci attanagliano, ci aggrediscono. Possono anche - come stiamo vedendo - farci diventare assassini.

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