mercoledì 22 maggio 2013


rivoluzioni antropologiche in corso
da “Il Foglio”, 9 maggio 2013

Elemosina. Sul treno che mi riporta a Roma, dopo un breve soggiorno in campagna, leggiucchio e dormicchio per quasi un'ora e mezza. Tra una galleria e una stazione si alternano piacevolmente i campi lavorati e i boschi freschi e verdi di una primavera parecchio bagnata. Quando mancano pochi minuti all'arrivo raccolgo la mia roba – i giornali, i libri, soprattutto – e mi avvio verso la piattaforma. C'è già un giovane, prestante, con la cresta e la scriminatura laterale come va oggi (credo sia uno stile punk)  ma anche una inedita areola bianca sulla parte posteriore del cranio che fa pensare, di questi tempi, alla cicatrice di un colpo di pistola. Arriva poi una ragazzetta, ugualmente punk, con blue jeans strappucchiati, t-shirt colorata, anellini, tatuaggi. Si appoggia alla parete. Fuma. D'improvviso si scuote e mi si para davanti: “Non hai mica qualche spicciolo?”, chiede. Esito, sono sul punto di dirle, senza rimorsi, “No”. Poi, senza nemmeno pensarci su, tiro fuori il il portamonete, ne traggo una più che discreta moneta e, senza una parola, glie la porgo. Lei la prende, borbotta forse un “grazie” e si appoggia di nuovo alla parete. Ma subito le compare in mano un cellulare, lo apre e comincia una conversazione. Una lunga, indifferente conversazione. Una mendicante non si comporterebbe così, avrei dovuto capirlo prima. E forse, anzi, lo avevo capito. Ma allora, se il mio non è stato un gesto di carità, una elemosina, cosa è stato? Per un istante mi ero compiaciuto di pensarlo, ma forse il mio era un autoinganno, forse l'impulso aveva avuto origine da segreti e meno onorevoli comparti psichici. E comunque, perché evocare l'elemosina, quando ormai chiedere soldi a mano tesa è una affollata industria di stampo mafioso? L'elemosina, come l'abbiamo conosciuta nella grande elaborazione cristiana, è da un pezzo scomparsa dall'orizzonte della nostra società.

Il senso dell'elemosina fu l'ispiratore, in tempi sconvolti dalla propaganda pauperistica delle eresie catare, della nascita dei grandi ordini mendicanti, i Domenicani e i Francescani, che cercarono di ripristinare l'ideale evangelico conducendo una vita semplice, fatta di predicazione e opere di carità, in contrapposizione con i lussi e le sregolatezze del clero regolare e dei monaci, spesso avidi esattori di decime e tributi. Curioso: l'appello alla povertà, anzi al pauperismo, risuona anche oggi e, ancor prima che nella chiesa, nella società civile. E' persino minaccioso, intima più che sollecitare nuovi stili di vita, fa balenare le fiamme della rivolta. Papa Francesco sembra aver colto questo mutamento, e ha scelto e propone uno stile di vita ispirato ad una rigorosa modestia di comportamenti. Saprà cogliere la società nel suo intero, ma anche la Chiesa, il significato di quella che rischia di essere - al di là delle "ripresa" che nessun peraltro vede all'orizzonte -  una svolta antropologica e culturale? Tornerà l'elemosina a suggerire, come avvenne presso i due grandi ordini monastici, nuove grandi teologie? Se falliscono loro, che senso hanno gli appelli al ritorno a Dio?


Laicismo. Il 28 aprile scorso, il presidente della Repubblica francese, François Hollande, avrebbe dovuto inaugurare, a Rouen, una mostra sull'Impressionismo. A poche ore dall'inizio, la cerimonia è stata annullata. Motivo? Era previsto che Hollande tenesse il discorso di apertura da un palco appositamente installato. I funzionari governativi incaricati di un sopralluogo avevano rilevato che il palco era piazzato proprio sotto una enorme tela a sfondo religioso. Conoscendo le idiosincrasie del Presidente avevano chiesto di rimuovere la tela o, quanto meno, di coprirla con un drappo blu. E' stato loro opposto un rifiuto, motivato da ragioni tecniche. A quel punto - come le ciliege, i "no" si trascinano sempre l'uno dietro l'altro - è stata presa la decisione di annullare l'intera cerimonia. Quando si dice il dogmatismo, magari laicista...

Arte e sacro. Ad Assisi è in corso una importante mostra, tra gli spazi del Museo della Porziuncola e quelli della Galleria d'Arte Contemporanea della Pro Civitate Chistiana, dall'eloquente titolo: "l'Arte che legge la Bibbia". Le opere spaziano da Rembrandt a Durer, da Rouault a Chagall, fino a Mimmo Paladino e a Chia. La lodevole iniziativa intende rinnovare uno sforzo che da tempo assilla la chiesa, quello di (ri)conciliare l'arte con la fede, ma temo non farà fare un passo avanti alla questione. Che oggi l'uno o l'altro artista proponga una storia biblica o un volto santo, non riuscirà più a  corrispondere all'esigenza della Chiesa di disporre di un suo grande linguaggio, insieme di arte e di potere, in sintonia con i tempi moderni. Ne ho già parlato, ma non riesco, ancora una volta, a non pensare al Picasso delle Damoiselles d'Avignon o al Duchamps dell'orinatoio o di altre opere analoghe. E' in queste opere che la frattura tra arte e fede si fa incolmabile. Esse hanno messo in luce una dimensione antropologica che non ha più nulla a che fare con la tradizione, con una rappresentazione dell'uomo saldamente ancorata a canoni culturali/religiosi universali e immutabili.










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