NATURA, CULTURA, PAUPERISMO (*)
di Angiolo Bandinelli
Tra Marsia e Apollo. Leggo su un giornale una notizia che mi lascia
perplesso. Un accademico americano, Marshall Sahlins, si è dimesso
dall'Accademia Americana delle Scienze per protesta contro l'ammissione di un
altro scienziato, Napoleon Chagnon. Il primo - il giornale chiarisce - “insiste
da sempre sull'importanza dei fattori culturali nel comportamento umano, mentre
il secondo studioso privilegia l'idea che tale comportamento abbia una base
biologica". Mi stupisce l'inasprirsi della polemica, avevo letto che gli studi
del settore erano arrivati ad una sorta di equilibrio tra le due concezioni. Da
laico, mi schiero con Sahlins: siamo ancora, a pensarci bene, al dibattito -
fondamentale nella civiltà greca classica - tra i difensori del primato della
“natura” ("physis") sulla “legge” ("nomos") o viceversa, come simboleggia il
mito della gara tra Marsia e Apollo. Da quel dibattito nasce un bel po' della
cultura/civiltà dell'Occidente, dell'Europa; seppur capovolto, lo vedremo
riesplodere - mi pare - con la scoperta delle Americhe, quando molti esaltarono
l'immagine del “buon selvaggio” che vive da innocente seguendo le leggi della
natura, in contrapposizione all'uomo che la civiltà ha moralmente corrotto
(posso dire, con un pizzico di ironia, che il grillismo mi pare un po' figlio,
anche se non con la sua grandezza, di quel Rousseau?). Mettendo da parte gli
antropologi, come non ricordare che anche la Chiesa utilizza questi concetti,
addirittura in modo dogmatico? Tutta l'etica predicata e imposta dalla Chiesa si
basa sui valori "naturali": la famiglia naturale contro il matrimonio gay, la
morte naturale contro l'eutanasia perseguita con l'intervento della scienza,
ecc. Ed è inutile fare osservare che, se il dibattito antropologico può ancora
offrire motivo di controversie teoriche, per quel che riguarda - diciamo - la
famiglia è più che accertato che non si possa parlare di famiglia "naturale"
riferendosi solo e obbligatoriamente a quella monogamica, e che sul tema della
morte la stessa Chiesa ha accettato una sua definizione assai diversa - e del
tutto "convenzionale" - rispetto a quella in vigore fino a non molto tempo fa.
Lo ha deciso per rendere possibili i trapianti, cioè per non intralciare il
cammino della scienza. Si è contraddetta, ma ha fatto bene.
Pauperismo. Il pauperismo, culto del mito della povertà, fa moda. Papa
Francesco ora lo smentisce ma è sembrato ne avesse fatto l'insegna del suo
pontificato. Voleva tendere una mano a quanti - almeno da Dante in poi, credo -
auspicano che la Chiesa, o almeno il Vaticano, non sia più il luogo "ove ogni dì
Cristo si merca"; era, il suo, uno sforzo di rinnovamento, anche se solo su
questioni disciplinari, non certo sui grandi temi teologici o morali: giusto
ieri ha chiesto che venga dato riconoscimento giuridico all'embrione umano.
Altri applicano i dogmi del pauperismo in ogni campo possibile, a colpi di
accetta. Non c'è situazione pubblica in cui non si facciano le pulci in tasca ai
detentori di una qualche fetta di potere imponendo loro una povertà coatta,
grottesca quanto sostanzialmente inutile proprio ai fini per quali viene
richiesta. I moralizzatori fioccano, ma più o meno a tutti loro converrebbe
ricordare - magari riprendendo in mano le acute pagine che Franco Cordero ha
dedicato all'argomento - come uno dei più rigidi sostenitori di una cultura
pauperistico-moralistica scagliata contro fasto e ricchezze, Savonarola, fu in
realtà un gretto passatista che non riusciva a cogliere il significato
prospettico, innovativo (e laico) del pensiero e dei gusti rinascimentali, pur
se non parsimoniosi. E occorrerebbe ricordare anche come un grande fustigatore
delle immoralità della Chiesa, Lutero, giustamente accreditato di intuizioni
fondamentali come quella della interiorità della grazia, fu un reazionario a
tutto tondo. Il sacco di Roma del 1527, opera di truppe luterane, fu evento
detestabile, ed è sperabile che una qualche voglia di ripercorrerne i (mis)fatti
non metta radici nella testa di uno dei nostri avventurosi pauperisti.
Post Scriptum: mi capita di leggere, su "La Repubblica", un breve testo di
René Girard, tratto da un suo saggio pubblicato sull'ultimo numero della rivista
"Vita e Pensiero". Il testo riassume i dati fondamentali del pensiero del Girard
sul "capro espiatorio" e sull'importanza di questo mito sulla intera
civilizzazione umana. Sono sempre un po' diffidente di quanti cercano di
spiegare il presente ricorrendo al pensiero mitico. Ma la lettura mi fa pensare
che, magari, il populismo moralista che ci sta assediando stia cercando davvero,
tra gli attori sulla scena dell'attualità, il capro espiatorio su cui scaricare
le tensioni, le ansie, le frustrazioni di cui quel moralismo è evidente
(sotto)prodotto. Rabbrivisco all'idea che il rabbioso vento inquisitorio arrivi
ad individuare un soggetto cui attribuire le sembianze (e le colpe) dell'attesa
(e necessaria) vittima sacrificale. Potremmo potremmo veder accadere sotto i
nostri occhi una feroce scena di linciaggio. Mio Dio! E se avessero ragione i
difensori della tesi del primato della (selvaggia) natura dell'uomo sui posticci
camuffamenti della (laica) civiltà?
(*) da "Il Foglio", 16 maggio 2013
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