domenica 3 maggio 2015

A proposito di un libro di Adolfo Battaglia

IL MODERNO LIBERALISMO DEI RADICALI
di Angiolo Bandinelli

(da "Cronache del Garantista", 26 aprile 2015)

Bisogna riconoscere che la pubblicistica sui temi della laicità - della cultura e della politica laica del nostro paese - è piuttosto ricca e di qualità. Spesso ha i toni del rimpianto - il rimpianto per ciò che poteva essere e non fu - e dell'accusa verso quanti  non capirono, se non anche boicottarono i tentativi, la speranza, o l'illusione, che il paese, appunto, potesse divenire una democrazia occidentale, una di quelle che a buon diritto possono definirsi laiche. In questa pubblicistica si sente anche covare il rancore per ciò che invece è accaduto, vale a dire la lunghissima stagione del monopartitismo più o meno imperfetto, del compromesso storico -  o come altro volete chiamarlo - con i due partiti di massa, la democrazia cristiana e il partito comunista, almeno formalmente divisi e antagonisti su tutto ciò che attinesse al governo, al potere e ai suoi dintorni ma strettissimamente concordanti sulla necessità di strangolare ogni tentativo di far nascere e crescere la pianticella laica.

Eppure di premesse - di buona semente, di egregi ingegni adatti alla bisogna, capaci cioè di dare senso e forza ad una ipotesi di governo, o di cultura, laica o, come si disse,  "terzaforzista" - ce ne sono state parecchie, in questo dopoguerra. Se poi risaliamo ancora più indietro, sul piano storico, la messe si moltiplica. Recentemente è uscito il secondo volume di un validissimo "Dizionario del Liberalismo Italiano"(Rubbettino, 2015) che ci offre una antologia di personaggi e figure storiche fin troppo ampia, con nomi ovvi ed indiscutibili ma anche altri la cui patente di purezza laica è un po' meno specchiata. E adesso arriva un libro di Adolfo Battaglia che vuole essere insieme appassionata rievocazione autobiografica e dolente riflessione sulla storia del paese e sulle ragioni che hanno impedito la nascita e la crescita di quel terzo polo laico per il quale lo stesso Battaglia si è speso. Battaglia è figura sicuramente rappresentativa di un'ala decorosissima dello schieramento laico italiano, lo storico Partito Repubblicano Italiano. Lo ricordo benissimo, giovane notista politico de “Il Mondo" di Pannunzio: le sue colonnine erano, nella rubrica "Taccuino", lucide, asciutte e competenti.

Recensendo il libro su "Il Sole-24 Ore", Massimo Teodori finisce anche lui col porsi la fatidica domanda, del perchè in Italia non abbia attecchito una forza laica capace di scardinare il duopolio DC-PCI. Si applicarono all'impresa un Malagodi o un La Malfa (padre), Pannunzio o lo stesso Saragat del primo PSDI. Non riuscirono, nessuno di loro. Perché? La domanda è un tormentone. Tutti coloro che vi si sono applicati sono concordi, alla fine, nell'imprecare contro una sorta di sordo fato che si sarebbe  posto di traverso e avrebbe fatto fallire quelle speranze. Nessuno di loro vuole riconoscere, invece, che la risposta, chiara ed evidente, non appartiene alla categoria delle dietrologie o dei (ragionevoli) rimpianti: semplicemente, in Italia le forze laiche non hanno avuto fortuna semplicemente perché non lo meritavano. Non erano attrezzate  alla bisogna. Ricche, strabordanti di intelligenze e di cultura (e, assai spesso, di accademici) non ebbero, nessuna di loro, l'intelligenza politica di avvertire che, nell'epoca delle grandi masse, a queste occorreva saper parlare per tentare di sottrarle ai linguaggi semplici ma efficaci delle due macchine da voto, la DC con le sue parrocchie e il PCI con il doppismo di Togliatti o il fascino di Berlinguer. Nessuno di quanti si diedero alla bisogna capì il punto essenziale. E mi sia a questo punto consentito, da vecchio militante, ricordare qualcuno, di stampo schiettamente laico, che il problema seppe risolverlo. Fu Marco Pannella. Quando, incontrandosi con un altro “emarginato”, Loris Fortuna, avviò la battaglia del divorzio, la massima parte di quei laici lo derise o quanto meno se ne allontanò, perfino disgustata. Dal Partito Repubblicano non venne un aperto appoggio alla campagna, nelle file dei radicali pannunziani militava Leone Cattani, che il divorzio addirittura lo avversava, e il "Mondo" stesso, per quel che all'epoca ne restava, non spese una parola a favore. Il solo esponente laico che si accostò subito, coraggiosamente, alla striminzita pattuglietta pannelliana fu Ernesto Rossi, con quel suo anticlericalismo un po' ottocentesco riguardato con spocchia dai laici “moderni” del "Mondo" o anche del Partito Repubblicano lamalfiano: laico sì, ma bene attento a non rompere il filo degli accordi di governo con la Democrazia Cristiana. E, oltre al liberale Antonio Baslini che si affiancò validamente a Fortuna, fu il socialista Mancini a dare impulso all'iter legislativo del divorzio, ma in contrasto con l'ala di De Martino.

La formula laica di Pannella era semplicissima, spericolatamente antagonista alla linea politica della DC e del PCI: parlare al ventre delle masse popolari, direttamente alle donne restate solitarie nelle case abbandonate dai mariti, alle vedove bianche, ai fuorilegge del matrimonio, ai lettori e alle lettrici di quel settimanale sporco e volgare che era ABC, divenuto subito indispensabile veicolo della campagna divorzista anche se schifato dalle intellettuali e dagli intellettuali PCI e magari anche democratico-laici. Fu una grande, grandissima, esemplare campagna laica, vinta non dai partiti laici ma da trasgressive donne comuniste, cattoliche e missine. E lo stesso può dirsi della campagna per l'aborto, attorno alla quale i cervelloni laici si divisero e si contraddissero, letteralmente ignari, inconsapevoli di quello che in termini sociali diretti quel tema evocava nella mente e nei corpi delle donne (e degli uomini) degli strati più umili e subalterni della società. Il gap di intelligenza teorica necessario per capire quanto sia stata profonda la rivoluzione culturale di Pannella (che trovò il suo acme nelle campagne referendarie, anche esse non amate dai partiti laici) non è stato ancora colmato, sul piano storico e teorico. Il libro di Battaglia ci mostra una faccia siuramente dignitosa di una antica, e ormai dissolta, vicenda culturale e politica, ma ci aiuta poco ad affrontare il grande tema di cosa significhi realmente fare una politica laica - dico laica, non borghese - nel paese che ospita, piaccia o no, il trono di San Pietro e ha visto nascere il più grande partito comunista dell'Occidente.

E pensare che per fare una grande politica laica bastarono, allora, un paio di ciclostili elettrici, molti sit-in e un po' di dedizione personale. Ho collaborato volentieri al "Dizionario" della Rubbettino, posseggo naturalmente i due utilissimi volumi. Ma ho anche una collezione di “Agenzia Radicale" ciclostilata (1962)  e una copia della rivista “La Prova Radicale” (1971). Di cui, ahimè, non trovo traccia nel grande "Dizionario del Liberalismo Italiano".

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Adolfo Battaglia, "Né un soldo né un voto - Memoria e riflessioni dell'Italia laica". Prefazione di Stefano Folli. Il Mulino, Bologna, pagg. 332, 24.00 euro

Il libro sarà presentato a Roma,  alla Camera dei Deputati - Sala del Cenacolo - il 7 maggio, alle 17,30. Interverranno Gerardo Bianco, Giuliano Ferrara, Giuseppe Galasso, Stefano Folli, Alfredo Reichlin. Presiderà Giorgio Bogi.

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