mercoledì 27 maggio 2015


                                    REFERENDUM IRLANDESE E PODEMOS SPAGNOLI
                                                            NESSUN RAPPORTO?

                                                     da "L'Opinione, 27 maggio 2015

Il referendum irandese sul matrimonio gay ha visto una consistente e decisisiva maggioranza votare un "sì" che suona, per il Vaticano e la Chiesa cattolica, cocente sconfitta. Questa volta la Chiesa non può prendersela con la laicizzazione e scristianizzazione della società contemporanea, fomentata dal laicismo di intellettuali spocchiosi, indifferenti dinanzi ai valori profondi che devono guidare l'uomo, cupidi di distruggere la famiglia, fondamento “naturale” e pilastro della società. Questa volta la sconfitta viene direttamente dalla libera volontà di quel gregge che avrebbe dovuto seguire il buon pastore ed invece, inopinatamente, gli volge le spalle per avventurarsi lungo nuovi, allettanti sentieri. E questo avviene in un paese, l'Irlanda, nel quale l'aborto è ancora proibito e fino al 1993 fa l'omosessualità era punita per legge. Ho, su quell'Irlanda di ieri, un ricordo personale assai preciso. Quando con Pannella e gli altri amici radicali iniziammo, alla metà degli anni '60, la campagna per il divorzio, io tenevo i contatti con la stampa estera, per sollecitare e suggerire servizi, interviste e quant'altro potesse essere utile. Cercai il corrispondente di un giornale irlandese di rilievo. Lo raggiunsi; anzi la raggiunsi, perché era una donna. Quando le spiegai cosa attendevo da lei, mi rispose con un netto rifiuto, lei non avrebbe mai seguito la nostra campagna.

Lo sconcerto e il disorientamento del mondo cattolico è, in queste ore, evidente; ma va riconosciuto che le prime reazioni sono state misurate, ben lontane dai toni di crociata con i quali la notizia sarebbe stata accolta qualche lustro fa. L'arcivescovo di Dublino, monsignor Martin,  ha detto che "la Chiesa ora deve fare i conti con la realtà" e misurarsi con la "sfida" proveniente da un mondo giovanile formatosi in buona parte nelle "nostre scuole cattoliche". Anche l'"Osservatore Romano" ha scritto cose pacate: la Chiesa si trova di fronte a una "sfida" lanciata con tutti i crismi della legalità democratica, e che dunque non può essere contestata. Ma, da laici, vediamo un po', cerchiamo di capire:  cosa può significare che la Chiesa "deve fare i conti con la realtà"? Sappiamo quanta spericolatezza teologica è stata messa in atto da recenti teologi (e papi) per sostenere la tesi che la Chiesa non può e non deve "adeguarsi" alla realtà, ma affermare intransigentemente la sua visione del mondo, eretta sul "depositum" della tradizione apostolica oltreché sui testi sacri. Una Chiesa romana che reciti il de profundis su questa immensa tradizione per prendere il sentiero, tanto caldeggiato dal mondo protestante, della riduzione del suo magistero ad una misericordia pietistica e insignificante, sarebbe altra da quella che storicamente è. Mi è ovviamente impossibile divinare quale potrà essere la risposta alla "sfida" irlandese che verrà dal pulpito di San Pietro, ma mi è difficile pensare che la Chiesa che ha preteso di governare e guidare il mondo, nelle sue storiche manifestazioni, senza mai scendere a patti, possa oggi adagiarsi in un ruolo defilato, non più intransigentemente "pubblico". La chiesa cattolica non può diventare una qualche confessione protestante, rinunciando alla funzione di guida storica (e dunque "politica") dell'umanità. Può piacere o no, ma di questo dobbiamo essere, da laici, consapevoli: il rapporto tra la Chiesa di Roma e il mondo non sarà mai irenico. 

Tra i commenti suscitati dal voto irlandese, tre a mio avviso sono rappresentativi delle possibili sue interpretazioni. Il primo lo dobbiamo a Vito Mancuso, teologo che si professa cattolico (forse, cattolico "adulto") ma esprime il pensiero del più piatto conformismo laicista. Per Mancuso, l'individuo moderno deve poter godere di tutti i diritti che gli spettano, compreso il diritto all'"amore integrale", un amore che si manifesta indipendentemente dal genere, dal sesso. E' una constatazione che si apre a tutti gli spifferi possibili, ma è assai comoda, perché apparentemente incontrovertibile. Chi potrà mai opporsi a questa richiesta da due più due fa quattro? Il secondo commento è quello espresso in due articoli sul "Foglio", uno prima e l'altro dopo il voto di Dublino, da Giuliano Ferrara. Ferrara è un grandissimo scrittore di pamphlet e i due interventi ne sono tra i migliori esempi. La vis polemica di Ferrara è incoercibile, straripa e straborda in forme scintillanti, persuasive perfino quando estreme o estremiste, in tutto e per tutto degne della penna di quel grande scrittore satirico che fu Jonathan Swift, guardacaso anche lui irlandese.

Ma il commento più acuto, nella sua apparente flessibilità e "umiltà" è, per me, quello apparso sul "Messaggero" con la firma di Lucetta Scaraffia. La saggista cattolica riconosce che il voto irlandese è stato con molta probabilità determinato o favorito dalla "assurda politica repressiva nei confronti degli omosessuali in anni ancora recenti", se non addirittura dalla cocente memoria di quegli omosessuali che "circa un secolo fa la medicina eugenetica aveva classificato come una tara ereditaria, come minimo da curare ma spesso anche da risolvere con l'internamento e la sterilizzazione". La Scaraffia ha anche qualche ragione ricordando come la Chiesa cattolica non abbia mai accettato "questa interpretazione del fenomeno". Per la morale cattolica, ricorda, "gli omosessuali sono sempre state persone come le altre, pur facendo una scelta sbagliata, pur incorrendo in un peccato" (oddio, la scrittrice dimentica che qualche secolo fa il finocchio - da cui l'epiteto umiliante appioppato agli omosessuali - veniva sparso sui carboni ardenti sui quali l'omosessuale veniva arso vivo, anche in aree cattoliche) La Scaraffia vuole anche lei difendere la famiglia "naturale", o "tradizionale" o, come puntualizzano altri, "costituzionale" e chiede (lo fa anche Ferrara) che si riconoscano i diritti della persona che richiedano una adeguata protezione giuridica, ma senza intaccare il concetto di famiglia. E' una richiesta saggia. Ma ci viene da rilevare che anche su questa richiesta, oggi invocata come minor male, l'opposizione clericale e politica è stata fino ad oggi negativa, senza spiragli, chiusa e dura. Forse ormai, dopo Dublino, la concessione è tardiva.

Infine. Nessuno ha trovato una correlazione tra il voto irlandese sulle nozze gay e il voto spagnolo che ha portato in primo piano formazioni politiche nuove, indecifrabili, mosse solo, in apparenza, da una irrefrenabile voglia di cambiamento, quale che sia. Il ministro della sanità irlandese, Leo Varadkan ha definito il referendum sulle nozze gay "una rivoluzione culturale": Che in Eurpa sia in atto, nelle più varie forme, una vera e propria "rivoluzione antropologica"? La Chiesa è in preallarme, le classi politiche e di govrno forse no.

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