martedì 12 maggio 2015



ELOGIO DELL'UNINOMINALE
“Il Garantista”, 12 maggio 2015


Esiste una una visione sbagliata e diffusissima del concetto di rappresentanza, automaticamente identificato con la proporzionalità del rapporto tra corpo elettorale ed eletti. Per la cultura empirista britannica lo schema non vale: vince chi arriva primo. E chi arriva primo si prende il tavolo: “Winner takes all”.
Non è affatto vero che i perdenti non vedano rappresentate le loro idee. È ovvio che il vincitore dovrà tener conto delle esigenze degli sconfitti. Cameron ha rilanciato l’idea del referendum sull’Europa, dando una buona soddisfazione ai votanti dell’Ukip, e ha rassicurato gli scozzesi.
Su “Il Fatto Quotidiano” del 9 maggio, cioè ancora (come si dice) a botta calda, Caterina Soffici spezza una lancia a favore del sistema maggioritario uninominale, quello con cui si è votato, appunto, in Gran Bretagna. Questo sistema ha consentito al partito conservatore di David Cameron di avere la maggioranza assoluta in parlamento con solo il 36% dei voti, al partito indipendentista scozzese di aggiudicarsi, con appena 1 milione e mezzo di suffragi, 56 seggi di Wenstminster mentre all’opposto l’Ukip, il partito antieuropeista di Nigel Farage, con 3,2 milioni di voti – vale a dire il 12,5%, ha incamerato solo un seggio.
Tale risultato non è andato giù a molti – e la cosa può anche comprendersi, vista la scarsezza delle informazioni che ci vengono fornite su questi argomenti – ma anche al presidente del Consiglio Matteo Renzi, che subito si è messo in bella mostra con l’osservazione, piena di un apparente buonsenso, che se Cameron avesse votato con l’Italicum sarebbe dovuto andare al ballottaggio: polemizzava evidentemente con chi accusa di “deriva autoritaria” il sistema che lui ha imposto di votare al Parlamento e allo suo recalcitrante partito, il Pd.
Renzi ha parlato – dobbiamo dirlo anche se è pesante – se non in malafede di sicuro per ignoranza. Invece non dovrebbe ignorare quale sia la caratteristica peculiare del sistema maggioritario uninominale all’inglese, una caratteristica che ne fa il sistema elettorale democratico per eccellenza. La Soffici osserva, puntualmente, che «in Gran Bretagna non contano le percentuali, perché per l’appunto il loro è un sistema maggioritario…nel sistema maggioritario uninominale britannico vince il primo arrivato in un collegio, anche se ha preso un solo voto di più del secondo». «L’Ukip (il partito di Farage), per dire, è arrivato secondo in ben 120 collegi, ma ha vinto in uno solo». Secondo la Soffici questo sistema, con la sua apparente antidemocraticità, garantisce al paese la “stabilità”. «Governabilità e rappresentanza sono due entità in lotta continua, non si possono avere entrambe»…«Per avere un paese più governabile – conclude la Soffici – si sacrifica sul piano della rappresentanza».
Fin qui abbiamo condiviso il ragionamento della giornalista. Non siamo invece assolutamente d’accordo sull’ultima sua osservazione, quella della scarsa “rappresentatività” dell’uninominale britannico. Il ragionamento della Soffici è inquinato anche esso, ci pare di poter dire, da una visione sbagliata – anche se diffusissima – del concetto di rappresentanza, automaticamente identificato con la proporzionalità del rapporto tra corpo elettorale ed eletti: se un partito ottiene il 12,5% dei voti dovrà ottenere il 12,5% degli eletti, dei parlamentari. Per la cultura empirista britannica lo schema non vale. Nella cultura empirista britannica vince chi arriva primo. E chi arriva primo, essendo il vincitore, si prende il tavolo: “Winner takes all” è il motto, punto e basta. Ma questo non significa che l’eletto di una determinata “constituency” (collegio) non la rappresenti adeguatamente.
Il sistema si riallaccia addirittura (cfr. : <+corsivo>Dizionaio di politica<+tondo> diretto da Norberto Bobbio e Nicola Matteucci) ”al medioevo”. Con tutta evidenza esprime una cultura e una prassi politica che non conosce i partiti, almeno quelli moderni, per cui il confronto elettorale si svolge tra due contendenti. E, ovviamente, quello dei due che vince ”takes all”, si prende tutto. Oggi però – si può controbattere – ci sono i partiti, e il confronto, come è avvenuto appunto giovedì 7 maggio, può essere tra più contendenti, per cui quel sistema diventa inadeguato. L’obiezione venne già formulata negli anni 70, mi pare, quando sulla scena britannica si presentò, con molte speranze, il Partito Liberale, incuneandosi tra i due tradizionali contendenti, i tory e i laburisti. Anche allora il terzo incomodo venne stracciato, ma i britannici non ritennero di dover cambiare il sistema elettorale, che è rimasto bipolare. Lo è perché conserva il suo carattere empirico, per cui è sempre l’individuo, il soggetto, l’uomo a contare, non il partito.
E non è affatto vero che i perdenti non vedano rappresentate le loro idee. È ovvio che il vincitore dovrà tener conto, sul piano politico, delle esigenze degli sconfitti. Cameron ha rilanciato l’idea del referendum sull’Europa, sicuramente dando una buona soddisfazione ai votanti dell’Ukip, e ha rassicurato gli scozzesi che si dedicherà ai problemi cari a quegli indipendentisti. La rappresentanza infatti è, secondo quanto raccomandava Burke, senza vincolo di mandato. L’eletto rappresenta il collegio nella sua totalità, nella totalità dei suoi elettori e cittadini, non si sente legato o obbligato verso quella percentuale di elettori che gli avrà dato il voto, come avviene nei sistemi proporzionalisti.
La sua rappresentatività è essenzialmente politica, non sociologica: questa è la sua grande forza, la patente della sua democraticità. Colui che è considerato l’inventore del sistema proporzionale, il francese Victor Considerant, da seguace e divulgatore dell’utopista Fourier, escogitò quel meccanismo perché, diffidando della politica, ”fase transitoria del ciclo dello sviluppo umano”, si proponeva ”un credo di rigenerazione sociale”, che portasse a ”un ordine sociale non conflittuale” (cfr.Alle origini della rappresentanza proporzionale, Maurizio Griffo, Lacaita, 1992).
La rappresentatività di stampo sociologico-identitario esprimeva questa aspirazione. La cultura britannica non accolse il suggerimento e rimase fedele al primato della politica, come ”gioco” conflittuale che deve esprimersi nel massimo di chiarezza e trasparenza, quella trasparenza che viene assicurata dalla visibilità degli attori, non mascherati o protetti dallo scudo partitico.
Non siamo aggiornati sugli sviluppi del sistema britannico ma, a quanto ne ricordiamo, durante la campagna elettorale il candidato si sforza di conoscere e farsi conoscere, si può dire, da ognuno dei suoi potenziali elettori, buona parte della campagna era (è?) si svolge battendo una per una le case, ”door to door”. L’eletto ha (aveva?) un rapporto fisiologico con il suo territorio, mentre vi sono deputati italiani che il loro collegio non lo hanno nemmeno mai visto: capitò anche a noi, quando fummo eletti – nella X legislatura – nel collegio di Genova, nel quale non avevamo messo mai piede. Non crediamo che l’Italicum possa vantare molti titoli in fatto di rappresentatività e di democrazia. È unanime il giudizio che ancora una volta i parlamentari eletti con questo sistema rappresenteranno solo sul piano numerico gli elettori che li hanno votati, ma saranno in realtà dei ”nominati”, nominati o comunque imposti dalle segreterie politiche dei rispettivi partiti.
Sembra dunque a noi (sperando di non sbagliare) che la questione della scelta del sistema elettorale sia ben più complessa di quanto appare dalle scarse e superficiali considerazioni avanzate a caldo in questi giorni. Da radicali pannelliani, sappiamo che sull’argomento si è discusso nel partito per anni, e che il primo bersaglio delle sue campagne fu proprio quel proporzionale nel quale Pannella ha sempre indicato il primo, storico responsabile della scarsa democraticità della vita politica italiana. Molto altro in merito si potrebbe dire. C’è da sperare che si presenti un’altra buona occasione per farlo.

Nessun commento:

Posta un commento