sabato 4 agosto 2012


RENATO NICOLINI: UN RADICALE CHE NON FU


Se ne è andato Renato Nicolini, una delle pochissime figure positive della vita pubblica romana. Era coltissimo, di una cultura personale, raffinata e profonda. Una delle volte che lo incontrai aveva dinanzi a sé, sul tavolo, le opere di Alfonso de' Liguori, un sacerdote seicentista dalla scrittura semplice e popolare. Non lo avrebbero MAI fatto sindaco di Roma. Un po' anche per colpa sua, non mi pare fosse molto rigoroso nei conti, spendeva come un principe rinascimentale per fare realizzare  i suoi favolosi progetti cittadini, che davvero erano ammirati in tutto il mondo: lo invitavano a conferenze da New York a Parigi, ecc. Bestia nera del Vaticano, era odiato e temuto anche dai suoi colleghi del PCI, fautori (tranne Petroselli) della co-gestione sostanziale della città assieme ai clericali. Petroselli puntò al risanamento delle orrende borgate e alla saldatura delle periferie con il centro. In gran parte, ci riuscì. A Petroselli lo rimproverai perché, per fare un favore agli Agnelli, abolì le ultime linee tranviarie, che dovevano essere sostituite con linee di autobus...

Conobbi in Consiglio Comunale Nicolini e la sua estate romana. Ricordo la “Ostia-Castel Porziano dei poeti”, da lui fortemente voluta. Venne Ginsberg e non chi altro della grande Beat Generation californiana. Difesi l’iniziativa, in Consiglio Comunale, quando - a posteriori! - arrivò la delibera di spesa. Ero all’opposizione, perciò il mio intervento in aula, positivo, fece scalpore. L’iniziativa veniva attaccata invece dalle destre, missini e Democrazia Cristiana, con l’argomento che la mattina dopo la sabbia della spiaggia era... piena di preservativi. La mia difesa dell’iniziativa e di Nicolini, motivata con ragioni tutte laiche, fece impazzire di gioia i comunisti, che venivano sotto il mio banco a tirarmi per la giacca, quando erano sicuri di non essere visti. Votai a favore, ovviamente. In Consiglio e in Commissione Cultura si era instaurato tra me - all’opposizione - e Nicolini un forte feeling, quando discutevamo l’aria si caricava di alti stimoli culturali, altrimenti inesistenti. Quando il sindaco era Argan, faceva pena, una mummia inesistente. In quel periodo spostarono il cavallo di Marc’Aurelio dalla piazza al coperto, lo smog se lo stava mangiando. Io proposi di porre sul piedistallo michelangiolesco della piazza un’opera di Henry Moore, il “Messaggero” lanciò l’idea, Argan la fece abortire: era troppo innovativa e attirante.

Quando ero consigliere, il grande critico Zeri mi telefonava la mattina alle sette, a casa, per darmi consigli sulle cose da fare. Il Comune, spalleggiato da urbanisti come Benevolo, aveva deliberato per il taglio e lo smantellamento di Via dei Fori Imperiali, che avrebbe reso possibile la saldatura di tutta l’area dei Fori. E, sul piano urbanistico, avrebbe interrotto il flusso delle macchine che utilizzavano la Via dei Fori per arrivare a Piazza Venezia e di lì, infilandosi nel Corso, attraversare la città. Un percorso che intasava il centro. Zeri era contrario all’abbattimento della strada dei Fori perché – sosteneva – lì sotto non c’è più niente, solo muri medioevali. Dal punto di vista archeologico aveva ragione lui, sul piano urbanistico aveva torto. I poteri forti osteggiarono l’iniziativa del Comune, Via dei Fori è ancora lì.

Quando Petroselli morì, all’improvviso, andai in ospedale a omaggiare la salma, volle accompagnarmi all’ospedale Francesco Rutelli, che così grazie a me ebbe il suo bravo momento di visibilità. Petroselli mi diceva spesso: “A Bandiné, perchè nun t’iscrivi al partito comunista?” Con me fu eccezionalmente generoso, venne a testimoniare al processo per droga, tutto in mio favore. Ero difeso dall’Avvocato De Cataldo. Fui condannato , la pena sospesa per le le alte motivazioni ideali. Non ebbe seguito sulla mia carriera scolastica. Ai funerali di Petroselli c'ero. Come consigliere comunale - unico radicale - i funerali li vidi dal palco delle autorità. Sfilò un milione di persone. Impressionante. Era amatissimo dalla "sua" gente. Nel partito lo chiamavano "Joe Banana" per il suo naso un po' storto. Quando fui uscito dal Consiglio Comunale potei chiedere a Nicolini di fare sponsorizzare dal Comune la mostra che volevo far fare di mio padre. Nicolini non fece molto, la mostra si realizzò sotto l’assessorato alla Cultura del repubblicano Negri, ed ebbe sede a Palazzo Braschi – proprietà comunale - nel 1989. La Commissaria del Palazzo disse che era la mostra più bella mai fatta in quella sede. L’avevo curata io personalmente, fino nei minimi dettagli e nel catalogo. Nicolini scrisse belle pagine sul catalogo. Poi diventammo sempre più amici...

Porto sempre un fiore alla tomba di Antonello Trombadori. Fu l'avversario di Nicolini sulla cultura dell'effimero. Ma io conservo sempre la lettera con la quale raccomandava mio padre, allora giovanissimo e sconosciutissimo pittore, perché sue opere venissero accolte a non so quale
Quadriennale. La lettera terminava pregando il destinatario perché mio padre
non sapesse mai che Trombadori lo aveva appoggiato. Una delle opere esposte
quella volta è ora nella collezione permanente della “Galleria d'Arte Moderna", la GNAM,
insieme ad altre due, tra le opere più belle di mio padre.


Nicolini aveva fatto approntare un buon progetto di riordino complessivo di Piazza dell’Ara Pacis. Fu anche iscritto al Partito Radicale.


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