RENATO
NICOLINI: UN RADICALE CHE NON FU
Se
ne è andato Renato Nicolini, una delle pochissime figure positive
della vita pubblica romana. Era coltissimo, di una cultura personale,
raffinata e profonda. Una delle volte che lo incontrai aveva dinanzi
a sé, sul tavolo, le opere di Alfonso de' Liguori, un sacerdote
seicentista dalla scrittura semplice e popolare. Non lo avrebbero MAI
fatto sindaco di Roma. Un po' anche per colpa sua, non mi pare fosse
molto rigoroso nei conti, spendeva come un principe rinascimentale
per fare realizzare i suoi favolosi progetti cittadini, che davvero
erano ammirati in tutto il mondo: lo invitavano a conferenze da New
York a Parigi, ecc. Bestia nera del Vaticano, era odiato e temuto
anche dai suoi colleghi del PCI, fautori (tranne Petroselli) della
co-gestione sostanziale della città assieme ai clericali. Petroselli
puntò al risanamento delle orrende borgate e alla saldatura delle
periferie con il centro. In gran parte, ci riuscì. A Petroselli lo
rimproverai perché, per fare un favore agli Agnelli, abolì le
ultime linee tranviarie, che dovevano essere sostituite con linee di
autobus...
Conobbi
in Consiglio Comunale Nicolini e la sua estate romana. Ricordo la
“Ostia-Castel Porziano dei poeti”, da lui fortemente voluta. Venne
Ginsberg e non chi altro della grande Beat Generation californiana.
Difesi l’iniziativa, in Consiglio Comunale, quando - a posteriori!
- arrivò la delibera di spesa. Ero all’opposizione, perciò il mio
intervento in aula, positivo, fece scalpore. L’iniziativa veniva
attaccata invece dalle destre, missini e Democrazia Cristiana, con
l’argomento che la mattina dopo la sabbia della spiaggia era...
piena di preservativi. La mia difesa dell’iniziativa e di Nicolini,
motivata con ragioni tutte laiche, fece impazzire di gioia i
comunisti, che venivano sotto il mio banco a tirarmi per la giacca,
quando erano sicuri di non essere visti. Votai a favore, ovviamente.
In Consiglio e in Commissione Cultura si era instaurato tra me -
all’opposizione - e Nicolini un forte feeling, quando discutevamo
l’aria si caricava di alti stimoli culturali, altrimenti
inesistenti. Quando il sindaco era Argan, faceva pena, una mummia
inesistente. In quel periodo spostarono il cavallo di Marc’Aurelio
dalla piazza al coperto, lo smog se lo stava mangiando. Io proposi di
porre sul piedistallo michelangiolesco della piazza un’opera di
Henry Moore, il “Messaggero” lanciò l’idea, Argan la fece
abortire: era troppo innovativa e attirante.
Quando
ero consigliere, il grande critico Zeri mi telefonava la mattina alle
sette, a casa, per darmi consigli sulle cose da fare. Il Comune,
spalleggiato da urbanisti come Benevolo, aveva deliberato per il
taglio e lo smantellamento di Via dei Fori Imperiali, che avrebbe
reso possibile la saldatura di tutta l’area dei Fori. E, sul piano
urbanistico, avrebbe interrotto il flusso delle macchine che
utilizzavano la Via dei Fori per arrivare a Piazza Venezia e di lì,
infilandosi nel Corso, attraversare la città. Un percorso che
intasava il centro. Zeri era contrario all’abbattimento della
strada dei Fori perché – sosteneva – lì sotto non c’è più
niente, solo muri medioevali. Dal punto di vista archeologico aveva
ragione lui, sul piano urbanistico aveva torto. I poteri forti
osteggiarono l’iniziativa del Comune, Via dei Fori è ancora lì.
Quando
Petroselli morì, all’improvviso, andai in ospedale a omaggiare la
salma, volle accompagnarmi all’ospedale Francesco Rutelli, che così
grazie a me ebbe il suo bravo momento di visibilità. Petroselli mi
diceva spesso: “A Bandiné, perchè nun t’iscrivi al partito
comunista?” Con me fu eccezionalmente generoso, venne a
testimoniare al processo per droga, tutto in mio favore. Ero difeso
dall’Avvocato De Cataldo. Fui condannato , la pena sospesa per le
le alte motivazioni ideali. Non ebbe seguito sulla mia carriera
scolastica. Ai funerali di Petroselli c'ero. Come consigliere
comunale - unico radicale - i funerali li vidi dal palco delle
autorità. Sfilò un milione di persone. Impressionante. Era amatissimo dalla "sua" gente. Nel partito lo chiamavano "Joe Banana" per il suo naso un po' storto. Quando fui
uscito dal Consiglio Comunale potei chiedere a Nicolini di fare
sponsorizzare dal Comune la mostra che volevo far fare di mio padre.
Nicolini non fece molto, la mostra si realizzò sotto l’assessorato
alla Cultura del repubblicano Negri, ed ebbe sede a Palazzo Braschi –
proprietà comunale - nel 1989. La Commissaria del Palazzo disse che
era la mostra più bella mai fatta in quella sede. L’avevo curata
io personalmente, fino nei minimi dettagli e nel catalogo. Nicolini scrisse
belle pagine sul catalogo. Poi diventammo sempre più amici...
Porto sempre un fiore alla tomba di
Antonello Trombadori. Fu l'avversario di Nicolini sulla cultura
dell'effimero. Ma io conservo sempre la lettera con la quale
raccomandava mio padre, allora giovanissimo e sconosciutissimo
pittore, perché sue opere venissero accolte a non so quale
Quadriennale. La lettera terminava pregando il destinatario perché mio padre
non sapesse mai che Trombadori lo aveva appoggiato. Una delle opere esposte
quella volta è ora nella collezione permanente della “Galleria d'Arte Moderna", la GNAM,
insieme ad altre due, tra le opere più belle di mio padre.
Quadriennale. La lettera terminava pregando il destinatario perché mio padre
non sapesse mai che Trombadori lo aveva appoggiato. Una delle opere esposte
quella volta è ora nella collezione permanente della “Galleria d'Arte Moderna", la GNAM,
insieme ad altre due, tra le opere più belle di mio padre.
Nicolini aveva fatto approntare un buon progetto di riordino complessivo di Piazza dell’Ara Pacis. Fu anche iscritto al Partito Radicale.
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