U
N F L A I A N O A O S T I A
Guardala
lì: sempre sul palcoscenico, lei. E guarda lì come l'applaudono,
appena si china a baciare sulla guancia un fotografo e poi avanza,
verso la spiaggia e il mare - che mare, scoppiettante di luci e di
riflessi!... Guardala lì. Ma chi crede di essere, dico io: anzi, chi
è, che alla fin fine di lei si sa solo quello che ci ha raccontato
sullo schermo, mica con le parole, mica col copione, ma col corpo, e
in primo luogo con quel volto straordinario - un po’ spigoloso,
con gli occhi troppo scuri dentro l'ombretto straripante - il volto a
forma di cuore di una che in amore prende lei l'iniziativa. Dio, che
donna. Per lei ci vorrebbe il cazzo di Saturno. Un cazzo
infaticabile, divino, per soddisfarla, placarla finalmente…
“Commendatore.
Commendatore, ne facciamo una storia?” “Una storia? Che storia?"
“Una
storia, un film, con quella là. Ascolti, commendatore. Io già la
vedo, la scena, una scena favolosa…Chiuda gli occhi, commendatore,
e mi segua: un campo lungo, e siamo lassù sull'Olimpo, e sull'Olimpo
c’è Saturno, il padre di tutti gli dei...” “Saturno? Mi piace.
Saturno o Maciste vanno sempre, è roba forte. Ma quella? Come
c’entra, in questa storia?" “Scelga lei la parte,
commendatore: Deianira, Leda, Medea, Europa - chissà quale va bene,
mi piacerebbe chiederlo a Flaiano, si vedrà". "Per carità,
niente operazioni filologiche! Per carità! As-so-lu-ta-men-te niente
operazioni filologiche. Eh, mi raccomando". “Stia tranquillo,
commendatore”. Niente filologia, dice lui. Ma chi è lui? Il
produttore, vabbè - però anche per fare un polpettone su Maciste
uno deve imbarcarsi in situazioni storiche, e non fa nulla se
credibili o meno, poi della filologia me ne sbatto anch’io, lo so
che contano solo i primi piani e i campi lunghi, le zumate e i tagli,
i tempi e il montaggio, questo conta e su questo tu ci inzuppi il
pane, sono i tuoi ferri del mestiere. “Niente paura, commendatore,
lasci fare a me”.
Dunque,
sì. Ma adesso guardala lì che rientra, guardala, è davvero unica.
E io ne sono geloso, è mia - spiritualmente, si intende! - per come
l'ho catturata e plasmata, l’ho fatta quella che è. Lei però di
me se ne frega. Succede, con queste stronze, che alla fine non riesci
a giostrarci più, non capiscono più quello che gli chiedi. Ma
adesso vedremo, con questa storia la incastro e me la riprendo,
sicuro. Intanto guardala, come affascina 'sta folla, 'st'ammucchiata
di gente beota che fa mistico semicerchio mentre lei si infila le
scarpe sui piedi bagnati e resta lì, scosciata. E fa pure cenno -
zitti tutti! - vuole parlare, e quelli lì, attorno, con gli occhi
torvi, figurarsi. Che ci avrà mai da dire. Guardala: accetta
golosamente il saluto, gli occhi strabuzzati: non ha bisogno di
emozionarsi, lei è superiore a tutto e a tutti ma gli piace
follemente l'ossequio, il clamore un po' stupefatto dell'applauso.
Anche l'invidia: che del resto fa bene, lo sanno tutti, può essere
dolce…
Allora,
dove ero rimasto? Ah, ecco: c’è Saturno lassù sull'Olimpo. Il
ciak apre su di lui sul trono, circondato da gente, gli dei, i
coppieri con ali e tutto. Uno stacco, e subito il primo piano di lei:
lì, seduta sulla roccia, ad aspettare. Che aspetta? Ma è ovvio, e
da qui parte la mia storia: aspetta il dio, un dio che verrà a
sedurla, a chiavarla. Sta lì ad aspettare lui, il dio abbiamo detto…
Ma no, no, che dico, così non va, troppo facile. Mica lo so
veramente che racconta 'sta storia, come va a finire. Però, sicuro,
noi la faremo meglio di “Ben Hur”, quell’americanata di Wyler.
Sarà il meglio di tutti gli Ulisse e i Maciste e i pepli dello
schermo. Bello realizzarla come la vedrebbe Flaiano, e non come
pretenderà - figurarsi - ‘sto produttore, tutti ‘sti mediocri.
Comunque, intorno, mare di sfondo, tanto mare. Questo mare,
naturalmente, niente Caraibi. Buongiorno Ostia: vivranno di nuovo,
giuro, tutti i tuoi miti. Sono i miei fantasmi. Bella spiaggia,
Ostia. Un tempo. Che nostalgia. Da ragazzino ci venivo in macchina
con gli zii, loro erano ricchi e mia madre invidiosa diceva che erano
dei profittatori. Allora chiunque fosse ricco era un profittatore,
per gente come noi senza un soldo in tasca. Col fascismo nacque
l'invidia piccoloborghese, io la sentivo palpabile, in famiglia. Io
però a Ostia ci venivo in macchina, mi ci portavano questi zii,
ricchi e un po’ pietosi verso di noi. Che mia madre odiava, per
invidia. Andai. Loro mi portavano con sé al mare, a Ostia, perché
loro ce l’avevano, la macchina. Tornavamo la sera, la notte anche -
c'era una strada lunga e dritta che a me, nella luce dei fari,
sembrava enormemente lunga - tornavamo con nel naso l'odore dell'erba
fresca che entrava dal finestrino. Mi addormentavo, felice e triste
di essere un po' ricco anch'io. Ostia nasceva col fascismo, così.
Che
c'entra questo, col cinema? Ma per me il cinema è solo nel ricordo
di quegli anni. L'unico cinema che per me conti, è l'ossessione di
quegli anni. Arrivare qui, a Ostia, a quel mare di allora, era
meraviglioso, altro che Fregene, Fellini e “La dolce vita”.
L'odore acre della salsedine ti bruciava il naso e le gambe
cominciavano a pizzicare dieci chilometri prima. E gli stabilimenti,
il Battistini, il Duilio, il mitico Plinius! E le mille esistenze, i
minuscoli crostacei, granchi d’ogni dimensione, lumache di mare,
che brulicavano oppure si spappolavano e l'odore di marcio putrefatto
si mescolava con lo sfrigolare della schiuma salata, delle alghe
ammucchiate. E gli insetti. A milioni, sulla superficie della sabbia
come sull'acqua di uno stagno, veloci e affannati, lasciavano le loro
impronte parallele, si infilavano in buche appena scavate e
d'improvviso, zac!, ti spruzzavano addosso, negli occhi, granelli di
sabbia. Iridescenti, come proiettili, una mitragliata. Io mi sentivo
come il gigante... E il primo sguardare le donne, seminude, brune,
sudate, senza sapere cosa dovessi fare, cosa fare con loro, di loro,
e il dolore dello smarrimento adolescenziale: misteriose, bellissime
e irraggiungibili, sempre.
Lei,
quella lì, dove l’abbiamo lasciata? Lei, lei, sempre lei. Ma certo
ci deve essere lei con la sua parte da protagonista, lei ancora e
sempre, fino in fondo, fino alla feccia: lei sarà il centro di
questa storia. Che nasce da lei, diciamocelo, dal suo ventre, dalla
sua fica. Bisogna farlo sentire, e magari presentire, con qualcosa
che richiami per analogia, che so, i suoi occhi, il loro colore, o
magari la curva del culo, lì, che si sovrappone a un'onda alta,
grande, gigantesca in primo piano, prima che piombi giù, ritornata
liquida, sfatta, intensamente ostile, in fondo; anche questo farò
sentire, si dovrà sentire senza che si avverta, però, che
l'ostilità è diretta contro di lei. Proprio no, lei deve uscirne
pura e casta, desiderata e desiderabile castamente. “Sarà
fantastica, commendatore. Pure adolescenziale”. "Possibile?"
“Certo che sarà possibile, commendatore. Mi creda,
adolescenziale”.
Facciamo
così, invece: Saturno geme. Sì, Saturno geme. Geme, urla, perché
qualcuno - invidioso, o geloso - si è vendicato. Sarà il Fato,
saranno le Parche, e - zac - glie lo taglia, glie lo ha tagliato, il
grande cazzo, e lo getta di lassù nel mare. Roba da Eschilo. O
Sofocle, vedremo, lo chiedo a Flaiano…E cadendo, quel cazzo divino,
immenso, piombato dal cielo, tagliato via da Saturno, dal padre degli
dei, figurati!, e figurarsi quindi che cazzo immenso!, ecco, ecco,
tutto a un tratto comincia a schizzare fuori sperma. Una colata, una
fiumara di sperma, bianco, iridescente, magmatico, qualcosa tra la
galantina di pollo e le vernici acriliche, una marea lattescente, una
via lattea; una nuvolaglia ilare che quando esce, quando è eruttata
dal cazzo immenso, sfiata, borbotta, sibila, schizza, si effonde,
fluisce torbida e giallastra, però luminosa in fondo, è lo sperma
di un dio, anzi di Saturno che è il padre di tutti gli dei, e quindi
figurarsi come deve essere cristallino. E quanto, anche; perché se
Saturno ha la zazzerona, barba e capelli fluenti e bianchi, la sua
possanza è però ancora infinita, come quella di un giovanetto, di
un poco più che adolescente, quasi vergine, alle sue prime
eiaculazioni da uomo, represse e controllate, e infine gloriose e
irrefrenabili, insomma una fontana divina che schizza nel cielo e lo
macchia e lo corrompe, certo, ma lo corrompe perché lo feconda, lo
feconda con ogni sua gocciolina, con ogni schizzo, sprazzo, stroscio;
tutto viene fecondato da quella fontana, da quel fontanile divino,
che eccita persino l'aria e la fa vibrare...
…e
allora, ecco che su questo mare accidioso, inerte, bruto, vuoto, in
questo cielo immenso ma stupido, comincia a risuonare un incanto di
suono. E' la musica! Il cielo, schiaffeggiato dall'immensa vernice
celeste, comincia a vibrare di un vento nuovo e inaspettato, vergine,
leggero, modulato: è la musica, il concento divino delle note che si
aprono, si distendono, si allineano una dietro l'altra, in scale, in
fraseggi, in motivetti, in cascatelle ridenti e consonanti.
Quel
vuoto, la cavità dei cieli, deserta prima della prima eiaculazione,
naturalmente non conosceva né i venti né tantomeno gli uccelli, lo
sbattere delle ali degli uccelli, l'aria era immota, nemmeno un
rumore, figurarsi i suoni e i canti. Devo far capire che siamo al
tempo di prima della creazione. Devo farlo capire. Il prima assoluto,
assolutamente il prima di tutte le cose. Chiederò al tecnico di
crearmi il suono del silenzio e di farmi vedere il vuoto, la vuota
assenza di movimento, di pulsazioni, di essenze se non di essere -
per gli antichi mi pare che l'essere poteva esserci senza essenze e
questa era anzi la condizione primigenia del mondo senza cose, dunque
del caos che è essere senza essenze ed esistenze, essere vuoto, puro
essere insomma - e il tecnico, il fonico dovranno rendermi bene, per
i primi cinque minuti, la infinita sequenza prima del rombo della
caduta del gran cazzo di Saturno che è l'inizio di tutte le cose, di
tutti gli esseri. L'inizio è sordo, oscuro, un rumore indistinto.
Poi, dal semplice al complesso, dal rumore bruto su su fino alla
musica, che viene dopo. E' l'immenso, straordinario, imprevedibile
ciak che apre l'universo…Fino a qui, perfetto. “A che pensa,
commendatore? O dorme?”
“Vada,
vada avanti, scriva, scriva. Intanto mi lasci ascoltare Mina a ‘sto
juke-box. La sente? Sta cantando ‘Stessa spiaggia, stesso mare’,
meravigliosa donna”.
… E
poi? Poi vedremo che suoni produrre per rendere il momento della
nascita della musica e con lei di tutte le cose come essenze, "le
quiddità" avrebbe detto il professore di filosofia al liceo;
una musica che dovremo sforzarci di fare armonica, ben scandita in un
ordine pitagoreo, misterico insomma, come dire Petrassi o Nono, boh!,
vedremo poi. Dall'oboe al clarinetto più sublime, come nei film
scientifici e i documentari sulla natura, quando si vedono le cose
greche pecorecce e si sente sempre clarino, flauto, qualcosa di
campestre, che va bene, benissimo. E - dimenticavo - le arpe, l'arpa
che si vede in sovrapposizione con la mano della donna che sale e
scende sulle corde e produce la musica, sale e scende come un'immensa
sega che in fondo dobbiamo fare intuire, una sega immensa su quel
cazzo pieno di sperma, da cui devono alla fine nascere tutte le cose.
Buono,
bene, fin qui. Tutto bene. Mi sorprendo come tutto viene giù così
semplice. Dove arriveremo? Questa storia alla fine è inquietante. E
sì, può distruggermi, se va male, bisognerà sentire pure il
Vicariato… Ma dove ero? Ah, ecco: ecco che quello sperma, piombando
come una pioggia infinita sul mare, sulla lastra di piombo di questo
mare di Ostia, vuoto dall'eternità, da sempre, dall'infinito vuoto
del tempo, ecco insomma che quello sperma tutto a un tratto,
piombando e sgocciolando, sbattendo in una miriade di gocce sul mare,
su questo mare così piatto e vuoto, insignificante, lo scuote, lo
sconvolge, lo fa ondeggiare, petillare, singhiozzare, zampillare e
alla fine eccolo lì!, schiumeggia tutto. Insomma, quello sperma
diventa la schiuma, la spuma del mare. Tutta la spuma del mare,
quella di ieri e quella di oggi, quella di sempre, ogni spuma del
mare in ogni tempo e in ogni latitudine, quella che da bambino
raccoglievo nelle sinuosità del bagnasciuga o sotto le palafitte del
molo, affogato di salsedine, smarrito da una delle meraviglie del
mare, la spuma iridescente.
Formidabile
intuizione. Difficile renderla, ma si deve vedere, si deve sentire.
Gli spettatori, tutti, ad uno ad uno, nella sala, lì al chiuso e al
buio della sala, dovranno sentire che quegli schizzi di spuma che
vedranno, ossessivi, rotolare sullo schermo, panoramico e immenso,
riempiendolo tutto da occidente a oriente, da cima a fondo - tutta
quella spuma, quella vernice - sono lo sperma di Saturno. Dovranno
fare un "oh!" di meraviglia e saltare indietro, dovranno
gridare di ebbrezza e di schifo: eh, si, voglio proprio vedere come
si comporteranno, sotto quella immensa pioggia tridimensionale che
perforerà lo schermo e schizzerà fuori sulla platea e in galleria,
umida, odorosa, di muschio, di antri, di salsedine, di scoglio, di
pesce, di cernia, di cozze e di vongole, quella pioggia profumata e
anche leggermente tiepida, di spuma, di schiuma, di sperma, dovrà
far eccitare e gridare tutti gli spettatori, a uno a uno. Sarà un
po' più difficile nella versione TV, con lo schermo piccolo non è
la stessa cosa, ma perdio per una volta sarà la rivincita dello
schermo grande, del cinema col suo specifico, che è il
coinvolgimento, l'abbraccio dello spettatore, quel tanto di mistico,
di uterino che ha il cinema e che la TV non ti darà mai; la vendetta
del cinema, delle cose che hanno un peso e non sono evanescenti come
quelle che si vedono in TV, e come sapevano quelli che da sempre
hanno fatto cinema su questa spiaggia, questo arco di spiaggia di
Ostia.
Questa
spiaggia, la conosco bene. Non c’è Fregene o Sperlonga che tenga.
Dedicata al cinema da sempre, da quando è nata. Una predestinazione,
un amore accorato per la gente del cinema, i suoi gusti pesanti, il
dopopranzo sbracato, il cameratismo insopportabile, "annamo a
magnà a Ostia", le spaghettate, il pesce fritto, un po' di
turpe sesso, un'epopea tutta romana, sempre con Fellini tra i piedi e
Sordi, lo “Sceicco Bianco”… Ma sì, lo “Sceicco Bianco”. La
“Dolce Vita” no, per quella c’è Fregene, una lagna... e
insomma il grande cazzo cade in mare proprio qui davanti, fischiando
dal cielo come un meteorite, grande e grosso ed eretto come era, il
cazzo di un Dio, di Saturno, figurarsi - bell'idea, ma come mi è
venuta? - ed infine precipita in questo mare: con un tonfo immenso,
tra le onde bluastre, cinerine, torbide, un po' di merda, da sempre.
Chiederò al tecnico come fare onde mostruose, piene di orrore, che
si separano e si squarciano per non dover toccare il grande cazzo di
Saturno che cade fischiando dal cielo. Ma perdio che tonfo e che
schiumeggiare ne faremo, di 'st’onde, con un volto e la voce, quasi
umane, tutte squittii, rombi, turbolenze, grida, rantoli, sussurri e
sciaguattii vicini e lontani, un inferno...o piuttosto un Caos. Ecco,
sì, un Caos primigenio, una idea con la quale ti frego anche
Federico, lui un'idea così non l'ha mai avuta… E ora può arrivare
lei. Sì, ora. Ma dove è finita, lei? Ah, sì, guardala: ancora
tutti zitti, sempre lì, non la mollano un secondo. Che ci avrà mai
da dire, figurarsi… Attenta, divina stronza, attenta a quel che
fai, a quel che dici. Perché io posso tutto e tu no. ..
Bene:
abbiamo la schiuma, che è lo sperma, e a un tratto…a un tratto da
quella spuma balza su, all'improvviso, Venere. E’ la nascita di
Venere! Ci siamo, perfetta storia e perfetta lei: perché lei e solo
lei ti può ridare l’Anadiomene, l’erotica Ciprigna o come
diavolo diceva il professore di lettere e noi ce la sognavamo, quando
venivamo da poveracci a fare il bagno su questa spiaggia miserabile e
malinconica di Ostia. Sì, solo questa qui, bisogna riconoscerlo, può
essere la divina Anadiomene, la Venere unica, l'archetipo: questa
stronza quì che non riesce nemmeno a concepire che razza di corpo le
ha dato la natura, e se lo dondola, lo porta in giro, lo sbatte in
faccia, negli occhi e nel cervello di tutti noi. Lei appare. Il
tecnico deve inventarsi qualcosa di inaudito, perché la gente se lo
possa immaginare, possa capirlo, l'evento. Lei, nuda, stupefacente,
che appare in mezzo a quel mare di spuma, e appare come è,
assolutamente ignara che quello che le galleggia intorno è sperma
che schizza dappertutto, e lei sulla sua conchiglietta lo sfiora
appena, non ne è toccata - nemmeno uno schizzo, su quella pelle
perlacea, d'aria, di sogno, nemmeno uno schizzo! - lei se ne sta lì
inconsapevole, buona buona mentre la conchiglietta, leggera, fragile,
docilissima, viene trasportata dalle onde, dai flutti, che se la
sbattono come un fuscello. La creazione: questo mare di merda mica lo
sa che quella è Venere, l'Anadiomene, la Callipigia stupenda, le
onde non lo sanno mica che quella è la Donna, proprio Lei, la grande
maga dell'universo. Poi alla fine, con il barlume di luce che la
creazione ha infuso in loro, si accorgono di quanto stupefacentemente
bella sia la cosa che è apparsa lì in mezzo, d'incanto: e questa
stronza davvero sarà mirabile, perché nemmeno lei si rende conto di
essere proprio Venere, la prima cosa, la prima incarnazione delle
cose, di tutte le cose, della bellezza del mondo che sta appena
nascendo in quel modo miracoloso, da uno schizzo di sperma di quel
poveraccio di Saturno che sta ancora lassù a gemere sull'Olimpo.
Lei
è nata. E da quell'universo bestia e stupido esce come un sospiro,
un "oh!" di meraviglia, perché alla fine ci se ne accorge,
le cose si accorgono di quel che è nato. Se ne accorgeranno a poco a
poco: insensibilmente, le onde cominciano a placarsi, le vedi farsi
più molli, gibbute e senza punte, rientrare nello schermo
Vistavision, ritrarsi, e si deve sentire che provano anche loro
meraviglia, stupore, timore, dinanzi alla cosa che è nata. Si deve
sentire, anzi, che con la cosa, con la donna, nascono appunto la
Meraviglia, lo Stupore, il Timore e il Tremore, dico io, e insomma
tutti i sentimenti e gli ingredienti del sublime e del mistero. I
sentimenti, sicuro. Tutto questo si deve sentire. E poi, ecco che
andiamo lentamente verso la conclusione, con un campo lungo, una
zummata, un bel retino. Perché Venere lentamente si allontana, verso
un fuoco dello schermo. Si allontana, leggermente, senza rendersi
conto che sta uscendo di scena. Lei non deve dare l'impressione di
avvertire che stiamo lavorando in zumata, non glie lo diremo, perché
lei dovrà essere sempre naturale, in primo piano, solo con un giro
su se stessa di centottanta gradi, perché prima dovranno vederla da
davanti, con quel ventre e quel petto superbo, poi di culo, quella
montagna immaginifica che è il suo culo. Ma di lontano e col retino,
perché dovranno sforzarsi e immaginarlo, più che vederlo,
quell'immenso culo che si allontana e digrada alla fine, nella luce
calante. E intorno il mare, questo mare ritornato innocente, leggero,
aperto, finalmente azzurro, con pochi baffi di spuma in primo piano,
perché ormai lo sperma lo ha fecondato e si ritira lasciando relitti
e gusci di conchiglie - le prime conchiglie! - e l'acqua, davvero la
madre di tutte le cose, dovrà essere la madre di tutte le cose - ed
ecco cominciano a svolazzare rondini, gabbiani dalle grandi ali, che
fischieranno, sibileranno, faranno i primi suoni viventi, i canti di
un mondo che sta nascendo, e il primo delfino scatterà e si
inarcherà e ricadrà tra due onde, e persino qualche petalo di
fiore. Perché lontano, digradante nel cielo senza nemmeno una
nuvola, ecco che si distingue appena, all'alba del mondo, il profilo
di Citera, l'isola beata, terra di Venere e dunque prima terra del
mondo, e man mano che Venere le si avvicina portata dal vento le rive
e le montagne e le colline si rivestiranno di una peluria - come
quella del pube di lei, esattamente, e delle ascelle di lei - e poi
di erbe e fiori e alberelli che si rizzeranno su con una grazia
erotica sottile, adombrando ancora una volta, per gli spettatori, il
mito primigenio. “Commendatore!”
“Commendatore!
Ho finito. Ecco come faremo il film. Sulla nascita delle cose e del
mondo. Alla Flaiano, proprio come la racconterebbe Flaiano. Quì a
Ostia. Con Sofocle o chi diavolo fosse, e con questa stronza. Solo
con lei”.
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